John Updike e la poeticità della coppia
I racconti di Scene da un matrimonio (edizioni Clichy) sono stati riuniti da John Updike in volume unico con l’intento di andare a formare il romanzo dei Maple, Richard e Joan. Apparsa per la prima volta a New York nel 1956, la coppia era scomparsa per poi riapparire nel 1965 a Boston mentre donava il sangue; di loro si è raccontato poi in un’altra dozzina di storie fino al divorzio del 1976. Non un proprio romanzo quindi, ma neanche una raccolta di racconti vestita da romanzo: piuttosto il tentativo di dare un senso a due personaggi che per circa vent’anni hanno tenuto compagnia alla penna di Updike. Buona testimonianza di ciò, infatti, è la prefazione dell’autore dove, oltre la dichiarazione d’intenti, si percepiscono i toni del congedo, del saluto appassionato a Richard e Joan. Lì John scrive:
Da allora non li ho più visti, anche amici comuni mi assicurano che sono entrambi vivi e che sembrano stare bene, tutto sommato
Scene da un matrimonio
Di recente, riferendosi a un altro libro, si è detto che John Updike è il poeta delle lenzuola coniugali; espressione che si adegua bene anche a questo volume.
I Maple sono raccontati infatti così, nella possibile poeticità di una coppia di cui sulla scena ci appare solo il declino, o meglio ancora, quel momento astratto in cui tutto sembra possibile. In un solo momento, in una sola azione o scelta, la salvezza o la rottura del rapporto. Da un lato due giovani sposi che si amano, vogliono mettere su famiglia, esserci l’uno per l’altra, prendere casa, crescere figli; dall’altro i desideri, le passioni, la paura di invecchiare, di non essere più attraenti, i tradimenti possibili e quelli effettivi. L’intero libro gioca su questo crinale, tra conferma e disgregazione dell’amore.
Solitamente, nei racconti, accade che uno dei due personaggi stia male – che manifesti un malore fisico o esistenziale – e che ciò metta in crisi i loro sentimenti precari. A salvarli, in questi casi è la parola. I due si parlano, lo fanno come mai hanno fatto i personaggi di Updike.
Richard e Joan si conoscono perfettamente, eppure a ogni crisi, di fronte a ogni momento destabilizzante cominciano a scavarsi dentro, a girare il coltello nella piaga; si direbbe banalmente. Così che anche il lettore, sbattuto da una parte all’altra del crinale, si trova costantemente a ridiscutere i sentimenti della coppia. Ma la verità, a mio parere, o quantomeno un’interpretazione possibile, è che Richard e Joan, come fossero due alberi ben piantati a terra, restano incorreggibilmente se stessi, nonostante il legame coniugale. D’altronde, come spesso accade in letteratura, il destino dei personaggi è già inscritto nel nome. Maple vuol dire acero. E l’acero, evocato più volte da Updike nelle sue opere, mantiene qui la sua «innocenza arborea».
Poeticità della coppia
Poco fa si è parlato di poeticità della coppia, cioè delle vicende dei Maple raccontate entro questi termini. E la scrittura di Scene da un matrimonio, nella propria aulicità, nel linguaggio colto caratterizzata da un’architettura fissa (così come si presenta un forte equilibrio tematico, anche nella struttura le storie oscillano tra i punti di vista di lui e di lei), della poesia mantiene soprattutto la visibilità e la leggerezza; nelle abusate accezioni calviniane. Un passaggio esemplificativo della scrittura di Updike è nell’incipit di Corteggiare la moglie, dove Joan ci viene mostrata attraverso gli occhi di Richard.
Oh amore mio. Sì. Siamo seduti qui, sulle assi calde e larghe del pavimento, davanti al fuoco, con i bambini tra noi, a mezzaluna, a mangiare. La bambina e io ci dividiamo un sacchetto di patatine fritte; tu e il bambino ve ne dividete un altro; e al centro, senza niente da condividere, riflettendo tra sé e sé come un gioiello, il bebè, allacciato in un Easybaby, ciuccia dal suo biberon con accigliata maestria, mentre i suoi occhi egoisti contemplativi rubano bagliori dal centro delle fiamme. E tu. Tu. Tu lasci che la gonna, la stessa gonna nera con la quale stamattina con tranquillo coraggio femminile montavi in bicicletta e partivi per suonare inni in chiavi difficili sul vecchio piano della scuola domenicale – tu lasci che questa gonna nera ti scivoli dalle ginocchia alzate sulle cosce, scivoli su per le cosce nella geografia assoluta del tuo corpo, in modo che il biancore parallelo del loro lato posteriore sia esposto al calore del fuoco e ai miei occhi. Oh. C’è una riga di Joyce, cerco di recuperarla dalle grotte leggendarie e imperfettamente esplorate dell’Ulisse, una giarrettiera a bottoni a pressione che si slaccia di colpo, per far piacere a Blazes Boylan, in una stanza della Dublino profonda. Cos’è? Caldo-schioccante. Era questa la parola cruciale. Schiaffeggiò caldo-schioccante sulla sua coscia calda e schiaffeggiabile di donna. O qualcosa del genere. Uomo fantastico, a sentire una cosa simile. Caldo-schioccante di donna.
La scena è costruita perfettamente, per simmetrie. Da una parte il padre e la bambina, dall’altro la madre e il bambino, al centro il bebé: tutti a mezzaluna intorno al fuoco. Un flusso di coscienza joyciano che parte dalla parte posteriore delle gambe pallide di Joan esposte al calore del camino. Qui sta la poeticità della coppia, nella narrazione e raffigurazione di costanti equilibri. Qui è, forse, la chiave del legame tra Richard e Joan.
Richard e Joan
La lettura di Scene da un matrimonio è, insomma, la descrizione di due mondi paralleli che cercando di incontrarsi. Richard e Joan sono tra le mani di Updike come quelle due famose rette incapaci di incontrarsi all’infinito ma che, nel tentativo di toccarsi, produco quei quotidiani tragicomici risultati a cui siamo abituati a dare il nome di coppia.
Antonio Esposito