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Fuori stagione, la bellezza di vite raccontate

Tutto comincia con una mamma preoccupata che chiede aiuto al suo evanescente ex compagno: di recente la loro figlia si rifiuta di parlare a scuola e non intende spiegare a nessuno il perché. Da questo semplice preambolo – che potrebbe a primo impatto suonare come qualcosa di già visto, sentito e più volte mal digerito – prende corpo una storia intima e profonda, fatta di tante piccole storie interne. Un viaggio tra memorie puntellate di rimpianti, consapevoli di aver scelto il silenzio per sopravvivere. Da un incontro padre-figlia si diramano vite accavallate e fragilità pronte a scontrarsi, tra abbandoni e dolcezze. Attraverso una delicatezza pulita, entra in scena la vita.

Questo è Fuori stagione, il romanzo di Federico Fascetti.

Racconti di vite intrecciate

«Vieni» dice Sergio. «Abbracciami. Dimmi che stai bene.»
Giorgia lascia cadere il sacchetto dei vestiti, stringe i pugni.
Tira su col naso e sbuffa via una ciocca, zuppa e dispettosa, che il vento continua a sbatterle sulla guancia. Poi prende la rincorsa e piomba nell’abbraccio di suo padre.
Fuori stagione [Federico Fascetti, Las vegas edizioni, 2017]

Sergio, Giorgia, Gregorio e Ilaria sono i nomi dei protagonisti, i quattro volti di questo breve romanzo privato e umanissimo. Affermare che sia una storia d’amore è improprio. Piuttosto, sono episodi che parlano della complessità dell’amore, dei molteplici ruoli in cui una persona si ritrova vestita – nel bene e nel male – per amore.

Esistenze comuni si intrecciano e vengono raccontate, nei loro momenti catartici, nelle loro scelte condizionanti e in tutte le loro conseguenze. Decisioni, appunto, rivelate con limpida semplicità. I dettagli di ogni foglio eseguono il lavoro di mille matite, tracciando i profili di anime e ambienti carichi di spiazzante tenerezza. Diverte notare come la storia spesso indugi in particolari all’apparenza superflui, sorvolando su aspetti generali con molto equilibrio.

A prescindere dai nomi e dai ruoli, il vero carattere della vicenda è dato dallo spettacolo delle debolezze umane, le stesse capaci di rovinarti la vita, inammissibili.

Su fondamenta di paura e dolore

Se in questo mosaico di eventi e affetti si vuole – per istinto o curiosità – trovare un filo conduttore è facile individuarlo nel sentimento più subdolo della mente: la paura. Essa si rivela l’ombra che appesantisce tutti i quattro volti del racconto. C’è chi teme di essere un fallimento, chi è angosciato dalla solitudine e dalle scelte difficili. Chi impallidisce all’idea di non essere mai accettato o di non avere tutto dalla persona amata, a cui senza accorgersene si è dato tutto. Infine, ma non certo da sottovalutare, l’ansia di crescere senza identità.

Degna spalla di tanto sfaccettato sgomento è sicuramente il dolore. Anche quest’ultimo può assumere diverse forme, proprio come alcuni mostri delle fiabe. Spesso è un male deciso a non esprimersi, senza testimoni. La sua tinta è quella del segreto inconfessabile, esplicito solo nella forma scritta dell’autore ma senza voce, cresciuto e sedimentato nel carattere dei suoi quattro custodi. Un sentimento buio, che si riconosce debole guardandosi indietro.

La scrittura è fissata da un immediato tono confessionale capace di far sentire il lettore inspiegabilmente coinvolto. L’atmosfera degli episodi, scena dopo scena, è quella di una lunga e struggente confidenza senza riserve né ricami.

In Fuori stagione ogni protagonista ha il suo spazio personale, il suo monologo, dosato con giudizio dal narratore nello spazio ben distribuito dei capitoli. Questi, con ben poche eccezioni, durano poche pagine. I dialoghi sono asciutti e sintetici: appare evidente, dopo averli incontrati lungo il percorso del racconto, quanto le parole taciute siano più importanti rispetto a quelle scritte. Il titolo delle sezioni è sempre una frase estratta dall’episodio di cui si sta per parlare: un grazioso indizio per comprendere sia la natura delicata e sottile della trama sia la sagoma dei suoi personaggi.

Di strutture e intrecci fuori stagione

L’intreccio è fluido e ricco di analessi, capaci di intrigare il lettore e indurlo senza alcun artificio a interessarsi alle parti sparse della storia, come elementi sfusi del testo.

Essi, infatti, non seguono un ordine cronologico ma una sorta di coscienza esterna, il cui flusso di pensieri oscilla tra passato e presente senza dare alcun peso al salto temporale. Ciò che conta sono le azioni svolte in quel momento, il valore dei gesti.

Tuttavia, per quanto una scelta organizzativa del genere possa rivelarsi, in mani poco esperte, una trappola insidiosa, è chiaro che l’autore abbia scelto questa successione con giudizio e consapevolezza. I capitoli mostrano, infatti, uno schema ben studiato: al di là della scelta cronologica, questi sono caratterizzati anche da un ordine di grandezza. I primi sono molto brevi e poco esplicativi, le cui minuziosità regalano il podio a emozioni e sensi. Man mano che si procede nella lettura, gli episodi si aprono a dichiarazioni più loquaci, pur mantenendo sempre un tratto estremamente riservato. La focalizzazione interna in terza persona è in grado di conferire alla narrazione un carattere caldo, senza incorrere in banalità.

Lo scrittore non manca mai di appostarsi sulla spalla del personaggio a cui vuole dare spessore, pronto a registrare e raccontare il protagonista del momento, il suo vissuto e le sue ripercussioni.

Qualità manifesta fin dalle prime pagine è la scorrevolezza, appassionante come una pellicola dalla fotografia ben curata.

Altra caratteristica intrigante è il saper parlare di eventi di vita comune, di pensieri e momenti collettivi preservandone la soggettività: vita, paura, dolore sono gli ingredienti che ci rendono parenti nel mondo.

Ma l’intrinseca bellezza di questo libro sta nella linearità sorprendente della sua saggezza: sembra descriva dall’alto, con sguardo benevolo, ogni scena.

L’ultimo capitolo di Fuori stagione regala un chiarimento inatteso, quasi sfuggito all’attenzione di chi legge, preso dal vortice di sensazioni tanto familiari. È la risposta a una domanda tralasciata, immersa nello scorrere delle pagine. La si potrebbe paragonare all’ultimo tassello di un puzzle, o al segmento mancante che chiude la figura di “Unisci i punti”.

Un ordine denso di significati.

Marcella Caputo

Marcella Caputo

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Marcella Caputo

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