Di Cristò sappiamo poco, Restiamo così quando ve ne andate è il suo l’ultimo lavoro, pubblicato con Terrarossa edizioni nel 2017 nella collana Sperimentali, diretta da Giovanni Turi. Già autore di quattro romanzi brevi: Come pescare, cucinare e suonare la trota (Florestano), L’orizzonte degli eventi (Il grillo) That’s (im)possible (Intermezzi) La carne (Intermezzi). Suoi contributi sono apparsi su Alfabeta2, Artribune e Minima et Moralia.
Il protagonista di Restiamo così quando ve ne andate è Francesco, un pianista compositore che di mestiere conta e impacchetta le monetine in un supermercato, posto “ereditato” dal padre, lavoratore integerrimo fino alla pensione presso il medesimo grande magazzino. Dipendente dall’hashish, ironico e paranoico, Francesco trascorre i suoi giorni liberi chiuso in casa, col pc cocente sulle gambe, fumando e navigando in internet alla ricerca di risposte, speculazioni telematiche come le chiama lui:
Poi c’è un serpente degli alberi, un boomslang, mobbizzato da un gruppo di uccelli non meglio precisati nell’Africa subsahariana. È un serpente velenoso. Il suo morso porta mal di testa, mancanza di sonno e disordini mentali. Forse assomiglio più a un boomslang che a un’aquila e ancora, O forse sono anche io un oopart, un oggetto fuori tempo, fuori posto.
Le risposte ai quesiti su se stesso e sul mondo spesso coincidono e Francesco si sente come il serpente boomslang, un tipo duro ma mobbizzato dal datore di lavoro e dalla famiglia, con cui ha un rapporto complicato – suo padre ha scelto di non parlargli più e impone la stessa decisione a sua moglie – o un oopart, un oggetto antico fuori tempo e fuori posto.
L’altro suo hobby preferito è quindi l’autocommiserazione, ma consapevole. Francesco non dà il tempo al lettore di elaborare delle riflessioni (o meglio soluzioni) sul suo conto e sulla sua vita, che subito si risolve da solo, senza tuttavia assumere una decisione. Così come il protagonista, anche la scrittura di Cristò si contraddice e si risolve, si contorce e poi si dispiega in un attimo, diventando limpida.
Francesco è una persona fragile, spaventata dai suoi stessi bisogni, vive una costante perdita di interessi. È un quarantenne ancora adolescente, incapace di prendere delle scelte e di assumersi delle responsabilità. Onesto: è consapevole però dei suoi limiti, che in parte addebita a se stesso e in parte a una società difficile in cui bisogna fare a cazzotti per farsi spazio.
Il protagonista appare ingabbiato in un circolo vizioso fatto di lavoro–droga–internet. Lavora per vivere, si droga per sopportare – lui stesso la definisce la sua scorciatoia -, si barrica nei social, con intervalli regolari di sesso fai da te o con Monica, presente nella sua vita da sempre e che lui stesso e il lettore faticano a definire “compagna”. A spezzare la sua routine rendendola più frizzante c’è Fatima, la vicina di casa poco più che ventenne che ascolta le sue composizioni al pianoforte dall’altra parte della parete.
Il romanzo è diviso in tre parti che ne scandiscono il tempo: dieci giorni, dieci ore, dieci anni. Dieci è un numero importante. Ricorre spesso nel testo ricordando al lettore non solo l’importanza della divisione in parti temporali precise, ma facendo continuo riferimento a esse come misura del tempo di Francesco:
… con un’aspettativa di vita di altri trenta anni di cui almeno altri venti in tutto simili a questi ultimi dieci;
…abbiamo parlato per dieci minuti: lo 0,02% dei minuti del mese.
C’è poi un altro tempo che scandisce i suoi ritmi, la musica a 87 bpm:
Sento il metronomo battere 87 volte al minuto e lunghe note a corda vuota;
Ho voglia di hashish e ascolto quelle note ripetute a tempo, quel metronomo lento ma incalzante. 87 bpm: poco sopra la media di un sano battito cardiaco.
Nella vita del protagonista c’è spazio per pochi affetti e tra questi c’è Donatello, un collega di Francesco che aspira a diventare scrittore e aspetta con ansia il giudizio dell’amico sul suo manoscritto. I libri e in maniera specifica il ragionamento sulla scrittura saranno una costante in questo romanzo di Cristò. L’ossessione di lasciare delle tracce scritte, scrivere per lasciare qualcosa che sopravvive, scrivere la propria storia, (che non è forse la vita?) comparirà più volte nel testo.
La totale perdita di contatto con la realtà sopraggiunge contemplando per ore la dream machine da lui realizzata. La “macchina dei sogni”, così come spiegherà lo stesso Francesco, è un oggetto inventato per la prima volta negli anni Sessanta e che è possibile costruire artigianalmente usando una lampadina, un giradischi e un cartoncino nero forato in più punti. Azionando il giradischi, la dream machine proietta sui muri giochi di luce e ombre dalle forme geometriche, in grado di provocare nel soggetto che guarda delle visioni quasi oniriche.
Dopo molto tempo passato in contemplazione, Francesco si sveglia stordito – Non riesco a ricordare se il tempo sia passato in fretta o lentamente – in una casa addormentata.
Le stanze a cui è tanto affezionato, a cui ha dato vita degnandole di un nome e di una storia per i rispettivi ruoli “ufficiosi” che svolgono, – stanza delle esperienze estatiche e ipnotiche, stanza del mondo orizzontale, stanza dei rimorsi – sono ormai spente.
Il black-out sarà la spinta per risvegliarsi: la casa si ribella e chiude tutte le comunicazioni con l’esterno; non c’è corrente, non è possibile usare il pc, guardare la tv, né incantarsi davanti alla macchina dei sogni. Il frigo è vuoto e in fase di sbrinamento. Il pusher di fiducia è stato arrestato.
Il protagonista è costretto a vivere e non ce la fa. Si abbandona sul letto soffrendo l’astinenza e una voce interiore dal tono infantilelo costringe a un viaggio nei ricordi, nitidi e nostalgici. Questa voce spinge Francesco al ragionamento e lo aiuta a ricercare una soluzione drastica per la sua vita.
La corrente è il moto di vita e di morte che sorregge la parte centrale del romanzo e permette la svolta successiva. In quel pensiero pomeridiano c’è la nascita e la fine, la riscoperta della luce e la costrizione del buio. La corrente illumina qualcosa e fulmina qualcos’altro.
Nel testo appaiono dei corsivi lirici, voci fuori campo non umane. Appaiono come aliene alla realtà: non diamo nome alle cose. Voci che non hanno corpo ma occhi attoniti che osservano tutto, osservano Francesco formulando pensieri elementari, idee infantili.
L’identità della voci si dispiega man mano, fornendo al lettore ogni volta dettagli da assemblare come fossero tanti tasselli di un puzzle.
Restiamo così quando ve ne andate è un libro con uno stile ritmico, creato ad hoc in connessione alla storia. È un libro ironico e con emozioni forti, difficile da digerire. Una storia dai risvolti sorprendenti con tanto lasciato in sospeso e tanto altro non considerato affatto – né dal lettore, né da Francesco – prima della sua effettiva rivelazione.
Cecilia Laringe
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