Nell’ambito di Napoli Città Libro, abbiamo incontrato Valerio Valentini, alla fiera con Parlare non è un rimedio (D editore, 2018). Valentini non è nuovo alla forma racconto. Vale la pena citare almeno Gli insetti sono tutti a dormire (La gru edizioni, 2017), il suo libro precedente.
Gli abbiamo chiesto di presentarci il suo nuovo libro di racconti. Questo è ciò che è risultato.
«È uscito il cinque maggio – tra l’altro il giorno del mio compleanno. È stata una mossa astuta [Ride] del mio editore, Emanuele. In realtà è un libro su cui si è ragionato per otto mesi circa. Sono partito dalla base di alcuni racconti che già avevo, e che venivano da un’esperienza passata abbastanza negativa, e sulla base di questi sette racconti – risistemati, allungati, rieditati – si è creato tutto il libro. Dico creato perché è vero che sono venti racconti – ventuno, perché abbiamo fatto tipo la traccia fantasma…»
«Esatto!»
«Sì, che parlo proprio di “libro di racconti” perché abbiamo trovato un tema unico che collegasse tutti i racconti, per questo è stato un lavoro di otto mesi. Il libro doveva avere un’omogeneità che lo rendesse più completo».
«Il tema principale sono le relazioni… le relazioni – diciamo – amorose, anche se il libro non parla proprio d’amore. Le relazioni non devono essere necessariamente fra esseri umani, ma anche fra un essere umano e un oggetto, un ricordo o un momento del passato che torna sempre alla mente, come un sogno ricorrente. Sono racconti al presente, che inquadrano momenti di vita quotidiana, in cui chiunque ci si può immedesimare. Sono quei momenti ai quali all’inizio non facciamo caso, quelle storie che magari facciamo anche fatica a ricordare, e che però hanno cambiato in qualche modo la vita del protagonista.
Vengono da un’attenta osservazione del mondo che ci circonda, e anche dal mio lavoro principale che è quello di ottico, e quindi lo “sguardo” su tutte le persone che incontro, sia durante le presentazioni che il lavoro».
«Sì, terzo libro di racconti…»
«Guarda, sebbene oggi si dia molta rilevanza alla questione racconti, in realtà il racconto è una forma che mi piace sia leggere che scrivere, ed è la forma in cui mi ritrovo avendo – appunto – tre lavori, due dei quali nel campo della narrativa, perché collaboro anche con D editore per quanto riguarda una collana di classici. Quindi: il lavoro per la collana, il mio lavoro, e anche la scrittura, perché per me scrivere è un lavoro. Non credo all’ispirazione, che uno scrive perché è ispirato. Penso che anche la scrittura sia un lavoro metodico: ti devi mettere là con i crismi e scrivere.
Quindi la forma breve mi riesce meglio perché nell’arco di tre-quattro giorni riesco a buttare giù la prima stesura del racconto e a regolarmi bene, mentre con il romanzo è un lavoro più lungo, faccio più fatica – anche se poi qualcuno nascosto ce l’ho pure».
«Esatto. Poi principalmente è quello. Per quanto uno possa dire “io sono raccontista”, quella cosa romantica, in realtà – per quanto mi riguarda, per me – è il tempo. Che è lo stesso tempo che io impiego a leggere. Se inizio un romanzo breve ci sto magari una settimana, se è più lungo ci sto un mese per leggerlo. Non dico che me lo dimentico, perché – per carità – però mi riesce più facile leggere un racconto perché posso terminarlo, poi riprenderne un altro, saltarlo, andare all’ultimo racconto e poi tornare indietro».
«La cosa bella è che il libro sta viaggiando senza essere ancora uscito. Abbiamo fatto l’uscita in anteprima il cinque per il mio compleanno, perché era un’occasione speciale. Abbiamo fatto la prima e unica presentazione per il momento. Ma il libro ufficialmente uscirà a settembre e faremo un giro di presentazioni. Prendo le ferie apposta [Ride] quindi gireremo un po’ di posti, e stiamo già vedendo qualche luogo in cui già sono stato e in cui mi fa piacere tornare».
Maurizio Vicedomini
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