Per accedere a lo Straordinario bisogna superare un’attenta selezione, molto più attenta di quanto possa immaginare il possibile inquilino. Oppure ci si può immergere nelle intense pagine del nuovo romanzo di Eva Clesis, appunto Lo Straordinario (Las Vegas edizioni).
A 37 anni Lea si ritrova senza lavoro e senza fidanzato. Improvvisamente sola, si mette alla ricerca – condizionata dalle esigue finanze – di un appartamento dove poter ridare una nuova spinta alla propria vita, magari avviando una rivista on-line di storie a lieto fine. Tenendo a debita distanza la madre psicoterapeuta e la sorella gemella di successo, Lea si ritrova, quasi per caso, nel giro di poche settimane tra le mura dello Straordinario, condominio-comunità lontano dalle porte di Milano, dove tutti sono gentili e dove aleggia, oltre all’odore di sambuco, una sensazione perturbante. I padroni di casa sono una coppia di anziani gentilissimi, la mansarda in cui va a vivere è dotata di ogni comfort, il prezzo è clamorosamente basso e la stessa gentilezza dei proprietari la si ritrova in tutti gli abitanti del condominio.
Le persone che si accalcano dietro i due vecchi, persone di tutte le età che sfoggiano ampi sorrisi in direzione di Lea e hanno battuto le mani al suo ingresso, sono gli abitanti dello Straordinario che il giorno prima lavoravano e non esistevano, e che perciò lei non ha potuto conoscere.
Quella comunità che sorride e guarda con affetto allo straniero, nascondendo dietro il sorriso tutte le possibili e necessarie ferite, e che espone solo il proprio lato positivo, diventa di giorno in giorno motivo di sospetto per Lea; spingendola a credere di essere diventata pedina di un gioco sconosciuto. Prigioniera della casa e dei suoi vicini.
Questi due elementi, infatti, credo risultino utili a inquadrare Lo Straordinario e a inserirlo all’interno di un preciso immaginario. Forse l’autrice non pensava proprio al film di Hitchcock al momento della scrittura, e forse quello del perturbante è stato un contenuto emerso inconsciamente, ma di sicuro il riferimento culturale era quello di contesti narrativi e tematici dove la realtà più è familiare tanto grandi sono le insidie che cela.
Di fatto il personaggio che domina la scena è quel condominio-microcosmo che di pagina in pagina appare paradiso o inferno a momenti alterni. La stessa scrittura della Clesis non permette di avere idee nette sul contesto né tantomeno sugli interpreti, la scrittrice barese riesce abilmente a stare intorno ai suoi personaggi senza mai caricarli di significato. Lea, i cui stati d’animo muovono l’azione del libro, è sempre descritta per come la vedono gli altri, in primis la sorella gemella e la madre – che oltre a definirla, narrativamente, risultano essere un catalizzatore d’ansie per la ragazza. In un contesto simile, dove molto è volutamente lasciato all’intentio lectoris è chiaro che non siamo più all’interno di una storia dove uno status quo, positivo o negativo che sia, viene messo in discussione da un elemento di rottura; piuttosto siamo inseriti in un contesto narrativo dove il continuo riconsiderarsi della parti in gioco – condominio incluso – avvia una riflessione sull’identità e sul continuo riconsiderarsi delle cose.
D’altronde, al di là delle possibili riflessioni che possono scaturire dalla lettura di questo romanzo, il vero tema centrale sta proprio nella ricerca dell’identità. Lo Straordinario è un romanzo ironico nel senso letterale del termine. Eva Clesis, proprio come la retorica insegna, fa dell’ironia quello strumento per avviare un paradossale sovvertimento della realtà proprio per sottolinearne, negli eccessi, la vera natura. E lo fa per raccontare quanto sia difficile per una donna della sua generazione, e per qualsiasi suo coetaneo, trovarsi un posto nel mondo.
Antonio Esposito
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