“Qual è l’invisibile filo rosso che unisce artisti come Salinger, Kubrick, Banksy e i Daft Punk?”, si chiedeva Lenny Belardo, l’immaginario Papa Pio XIII raccontato da Paolo Sorrentino nella serie di successo The Young Pope. Facile: “Nessuno di loro si fa vedere, nessuno di loro si lascia fotografare”. È questo ciò che accomuna le figure più importanti del nostro tempo, quelle che hanno destato una curiosità così morbosa da diventare delle icone.
A pochi anni dall’esplosione del caso Ferrante si sono accesi nuovamente i riflettori su Napoli nel tentativo di risolvere il mistero che avvolge questo progetto che sin dal lancio del primo singolo “NOVE MAGGIO” ha alimentato l’attesa e fomentato congetture, ipotesi e dubbi. C’è chi in un primo momento ha immaginato si trattasse del cantante Ivan Granatino, chi, visto l’endorsement di Roberto Saviano, ha sperato si palesasse in un episodio della terza stagione di Gomorra, magari nelle vesti del già noto Livio Cori e c’è chi ha creduto che LIBERATO fosse realmente Calcutta, il quale ha prestato il volto (e la voce) per la performance al MiAmi Festival di Milano in quella che si è poi rivelata “la trollata dell’anno”.
Senza dubbio il più grande merito del progetto è stato quello di aver attinto a piene mani dalla tradizione della Napoli popolare e di averla resa, traslata su un piano “mainstream”, più moderna e fruibile. L’elemento più evidente di questa operazione di internazionalizzazione dell’immaginario partenopeo è l’utilizzo di una lingua urbana e contemporanea che mescola versi in dialetto a intuizioni in lingua inglese e che si dimostra estremamente congeniale al genere trap al quale si ispira. Inoltre, esaltando una serialità quasi da soap opera, la concatenazione dei videoclip – diretti da Francesco Lettieri – traccia una sequenza di avvenimenti sullo sfondo di una Napoli da cartolina ma radicata nella città reale, dove gli scenari da spot turistico si riempiono di vita vissuta e il continuo richiamo all’identità elementare del tifo calcistico riesce a tenere insieme un pubblico socialmente trasversale.
Tuttavia la strategia che paga di più è senza dubbio quella in sé dell’anonimato, perché manda in corto circuito i meccanismi promozionali di un’industria musicale che preferisce puntare sui reduci dei talent e sulla loro sovraesposizione mediatica. L’attenzione ricevuta dal misterioso progetto svela il paradosso dello showbiz, per cui il culto dell’immagine, che ha ormai saturato il mercato, ha reso più intrigante il suo opposto: ciò che non si vede, ciò che non può essere etichettato da un tag o apparire in un selfie. E se è da più di un anno che ci chiediamo chi si celi dietro la maschera di LIBERATO, è evidente ormai che ci stiamo ponendo la domanda sbagliata.
Valerio Ferrara
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