L’amore è sogno più di ogni altra cosa? Dialogo impossibile tra Dostoevskij e Dolan
Come la bocca parla all’orecchio e dice ciò che l’orecchio vuole sentire, così il discorso amoroso sembra nutrirsi elettivamente del nettare del sogno. Come esprime poeticamente Salinas: «Scompare solo un amore che ha smesso di essere sognato, fatto materia e si cerca sulla terra». Ma è davvero così? Non esiste – forse – una realtà sentimentale al di là del nostro infinito sciame di fantasie? E soprattutto: cosa significa reale a proposito del sentimento amoroso?
Un romanzo sentimentale
Nel 1848, Fëdor Dostoevskij pubblica per la prima volta il suo romanzo giovanile “Le notti bianche” sulla rivista Annali Patrii. È un romanzo sentimentale, come lo definisce l’autore stesso. Dai ricordi di un sognatore, aggiunge al titolo. Ambientato in una Pietroburgo oscura e romantica, racconta le passeggiate senza meta di un uomo – il Sognatore, per l’appunto – che, assalito da un profondo senso di malinconia e solitudine, incontra una donna e s’illude d’amarla e di esserne ricambiato. O non s’illude d’entrambe le cose. O s’illude d’una delle due.
«Sono un sognatore» afferma il protagonista, «nella mia vita c’è così poca realtà». Il mondo gli è estraneo. Non lo sente suo, perché non lo sente abbastanza vero, e non può fare altro che rinchiudersi nelle proprie fantasticherie e galleggiare al di sopra delle cose in un fluire inesauribile di pensieri e illusioni. Perché l’incanto dell’incontro con Nasten’ka – questo è il nome della donna – ha a che fare con l’ignoto, l’attesa, il desiderio, così come il trasporto amoroso ha a che fare con la distanza e il mistero; nel momento in cui vive qualcosa di reale, infatti, il Sognatore fugge, si ritrae nel suo mondo privato per cercare di prolungare l’attimo immaginato e poterlo rivivere, facendo rinascere più volte l’emozione e il ricordo del primo incontro con Nasten’ka. Perché l’amore – in ultima analisi – ha a che fare con il sogno.
Notte dopo notte, vagando in cerca delle proprie emozioni, il Sognatore ci rivela un po’ alla volta la sua incapacità di conoscere realmente i propri sentimenti, se non attraverso il filtro dell’immaginazione. Non c’è spazio, intorno a lui, per nessun amore in carne e ossa, eccetto che per quelli creati dalla propria fantasia. Perché l’amore – si sa – è irrazionale e i sentimenti fioriscono grazie all’acqua del desiderio, anche quando la realtà non sembra offrirci alcun segno di incoraggiamento.
Un intero attimo di beatitudine
Nasten’ka, infatti, è già promessa a un altro uomo, il quale, a sua volta, le ha promesso di fare ritorno entro un anno. Eppure, spinto dalle fantasticherie e dai sogni, durante l’ultima notte il Sognatore dichiara a Nasten’ka il suo amore (immaginario?). In un crescendo di suggestioni, i due si credono innamorati e anche la donna si lascia convincere a dichiararsi a sua volta, finché non compare sullo sfondo un uomo. Passa loro accanto, si ferma, poi procede oltre. Basta che la chiami e Nasten’ka dimentica le sue promesse e corre via. Un’ultima volta si volge al Sognatore: torna sui suoi passi, lo bacia, ma poi si allontana per sempre.
Il sogno, infatti, allo stesso tempo può divorare, alienare, emarginare. E il Sognatore si ritrova doppiamente solo quando vede crollare davanti ai propri occhi l’immagine – quindi irreale? – che s’era apprestato a creare. Nel suo vagabondaggio onirico, cede dunque alla consapevolezza che ciò intorno al quale aveva fantasticato era troppo bello per resistere alla prova della realtà. Ma alla fine – nella celeberrima e commovente conclusione del breve romanzo – si convince che è stato comunque meglio illudersi rispetto a non sognare affatto: «Un intero attimo di beatitudine! – dice – È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?»
Immaginazione, sogno e oggetto d’amore
Les amours imaginaires è un film canadese del 2010, scritto e diretto da Xavier Dolan, allora appena ventunenne, presentato in anteprima alla 63esima edizione del Festival di Cannes. La storia ci presenta le (dis)avventure di due amici da lungo tempo che un giorno si convincono d’essersi innamorati entrambi della stessa persona; si forma, così, un triangolo amoroso alquanto strano e fantasioso, che non si risparmia pensieri, fantasticherie, illusioni, persino dichiarazioni d’amore in piena regola, temendo unicamente lo scontro con la realtà. Che come sempre, però, è alle porte e si manifesterà con la durezza che solo il vero sa impiegare. Nicolas – questo il nome dell’oggetto amato – rifiuterà infatti entrambi gli spasimanti con la semplicità dell’indifferenza.
«Non c’è niente di vero al mondo, eccetto l’amore irragionevole» scrive Alfred De Musset, spalancandoci il sipario della pellicola. Anche qui, infatti, l’amore prescinde dalla persona amata, che è ricreata anzi a proprio piacimento, e i protagonisti ci mostrano candidamente di amare più l’idea dell’amore che la persona (presunta) amata. Tra ipnotici rallenti e musiche trascinanti – i marchi di fabbrica del cinema di Dolan – ci immergiamo, dunque, in una serie di riflessioni (più o meno leggere) sul significato dell’amore immaginario, nel quale l’oggetto del desiderio non è amato in quanto tale, ma in quanto occasione per vivere il sentimento amoroso, estraniandosi dalla noia della realtà.
Idealizzazione e disillusione
Les amours imaginaires è un film sull’infatuazione, sulla idealizzazione dell’amore e di conseguenza sulla disillusione del perdersi dietro alle fantasie. Ognuno a suo modo è innamorato della distanza che ci separa dalla persona che vorremmo amare. Quella stessa distanza che da principio ci affascina e mantiene vivo il desiderio, ma che poi, quando la vogliamo precipitosamente annullare, rischia di cancellare con un colpo di spugna il sogno che ci eravamo così a lungo creati. Cosa resta, infatti, degli amori immaginari, quando la distanza viene a mancare? Mentre un luogo ricordato, amato e desiderato, continua ad esistere anche se non ci siamo più tornati, un amore si dissolve, se smettiamo di sognarlo.
Il film è quindi una grande variazione sul tema degli amori non corrisposti, che non si consumano mai per davvero, che non hanno il tempo di diventare reali. Gli amori immaginari, per l’appunto. Gli amori sognati. Quelli che ruotano intorno a un gesto frainteso, a una parola che dice di più del proprio significato. Quelli che si nutrono maggiormente del proprio fantasticare piuttosto che dei fatti quotidiani di una relazione concreta. Quelli intrecciati a una realtà da indovinare, afferrare e fare propria. Quelli che si nutrono del fascino, della vertigine di un mondo nuovo, di un segreto non ancora svelato. In parole semplici, gli amori che nascono dal nostro desiderio d’amare e che continuano ad esistere principalmente nella nostra testa.
Frammenti di un discorso sognato
Ecco, allora, che l’amore può diventare perfetto, incantato, privo di incompiutezze, ma è sostanzialmente un amore platonico e irraggiungibile. Fugace e idilliaco come solo l’attimo di beatitudine del Sognatore dostoevskijano può esserlo. Non a caso, le bellissime parole di Turgenev con le quali si apre Le notti bianche ci fanno riflettere proprio sul significato della brevità e dell’impalpabilità della felicità amorosa: «Era stato forse creato per rimanere accanto al suo cuore, seppure per un solo attimo?»
«Noi maciulliamo sempre il fiore, lo tormentiamo per sentirne più forte l’odore» scrive Dostoevskij in un noto feuilleton, «e dopo ci lamentiamo, quando invece dell’aroma ci resta solamente il puzzo». Difficile concepire un’immagine più adatta a esprimere il concetto dell’umana impazienza, della precipitosa voglia di consumare, del nostro essere perennemente tormentati dalla tirannia e dall’inesauribilità del desiderio amoroso. Eppure le emozioni possono essere momentanee, i sentimenti ondivaghi, le passioni fuggevoli. E dunque, le relazioni amorose non sono altro che scommesse (o promesse) appese al classico filo. O forse no? La migliore conclusione è rappresentata da queste parole di Salinas, perfette, fiduciose e poeticamente incantevoli: «Non respingere i sogni perché sono sogni. Tutti i sogni possono essere realtà, se il sogno non finisce».
Anna Pietroboni