Racconto: Affondando – Luca Pegoraro
«B2!»
«Acqua.»
Davide appoggia il gomito sano sul tavolo, scarabocchia una x. «Non illuderti. Vincerò io, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Gabriele si alza, scompare dalla stanza; Davide lo vede tornare con un sacchetto trasparente pieno di bende e cerotti.
«Dammi il braccio.»
«No, è mio!»
«Stupido.»
Davide distende il destro – ciò che ne resta – sul tavolo. «Non sbirciare.»
Il fratello disfa la bendatura, asporta il pus, esclama «C7» senza togliere lo sguardo dal bicipite che penzola sul tavolo come una collina rovesciata.
«Acqua.»
«Il collo non posso bendarlo.»
«Lasci sempre le cose a metà. Non ti chiamerebbero Sparalesto, dopotutto.»
«Stronzo. Colpa di Elisa, lo sai.»
«Ma poi, è vero?»
«Avevamo quindici anni.»
«Dici che lei ce l’ha fatta?»
«Dubito.»
«Già. Una vita intera a sfondarci di lavoro e ci ritroviamo con un pugno di mosche dubbiose.»
Davide tossisce, infila il pollice sinistro sotto la mandibola, preme per sostenere la trachea. «E4!»
«Acqua.» Gabriele usa il mignolo per scostare la tenda, osserva il campo di girasoli che ricopre la collina.
«Novità?»
«Due.»
«Due come i proiettili rimasti?»
«No. Due come F2.»
«Acqua.»
Gabriele ritorna al tavolo, annerisce la casella.
«Avremo visite. Ho visto Fargo.»
«Il film?»
«Eddai. Fargo, quel mezzo tossico che ci provava con Jessica.»
«Mh. Dici che è migliorato? »
«Dubito.»
Davide ha un altro attacco di tosse; si tappa la bocca, ma il rumore sfiata dai buchi in gola.
«Sc…scusa.»
«Succede, a dire cattiverie.»
«E adesso?»
«E adesso H6!»
«Acqua.»
Davide schiocca la lingua, prende tempo per non ammettere che la vista si sta abbassando, che le sagome si mischiano tra loro come quando da bambino si ostinava a disegnare senza tratteggiare i contorni col nero.
«È quasi estate, poi i girasoli seccheranno… chi se ne prenderà cura?»
Gabriele stringe la mano sana del fratello, gli lascia intravedere la pistola.
«E quando mai la vita s’è presa cura di noi?»
Davide soffoca un conato, sussurra «Starà bene?»
«Chi?»
«G9!»
«Acqua. Acqua, stupido.»
«Non piagnucolare, almeno questa volta.»
Gabriele abbozza un sorriso, scosta la tenda: Fargo è chissà dove, inghiottito dai girasoli.
«Piagnucoloso, io? E tu allora, quando ti hanno sequestrato lo scooter?»
«Non come quando ti sei perso di notte con gli scout.»
«E quando il preside ti ha sorpreso a fotocopiarti il culo?»
Davide ride, ridono entrambi.
«Per non parlare di quella volta che F5!»
«Acqua.»
La benda sul braccio si fa appiccicosa, Gabriele ne prepara un’altra ma Davide si ritrae. «È tutto inutile.»
Il silenzio che segue viene interrotto solo dalle gocce di sangue che precipitano sul palchetto.
«Secondo te quanto manca?», domanda forzando il braccio cadente per indicare a turno gola e pistola.
«Se ti ostini a mancare l’ultima nave, parecchio.»
Davide sogghigna, scuote la testa lenta.
«Quanto mi ci vorrà prima che…»
«Che ne so. Due minuti, tre giorni. Dipende dal film.»
Gabriele capisce che lo sguardo del fratello è altrove, perso nelle mestolate di oscurità che anticipano i titoli di coda.
«Il nostro, che film sarebbe?»
«Quello in cui io vinco sempre: A7!»
«Acqua», risponde di riflesso.
Nessuno dei due può controllare lo schema; la cecità di Davide e le lacrime che zigzagano sul viso di Gabriele remano contro, decise a salvare l’ultima nave da due caselle.
«Avrei tanto voluto vedere Parigi.»
Davide accenna appena un «Mh», ma vorrebbe dirgli “Con tutti i rimpianti che uno può coltivare in trent’anni di vita sciupata qui, nel nulla, a piantare e sgranare girasoli, senza neppure una donna accanto a piangere per noi, a dire che questo schifo è solo un brutto sogno, sommersi da migliaia di occasioni perdute per pigrizia, noia, paura, montagne di ore accumulate a inventare scuse verso chi comunque non ci ha mai ascoltato, il tuo rimpianto è di non aver visto una nidiata di francesi?”.
«Sai, Dave, non credo di averne capito il senso, di quello che è successo, là fuori. Forse non c’è neppure niente da capire. Che differenza fa? In fondo, è stato bello. Ci siamo divertiti.»
Davide chiude gli occhi, crolla a terra.
Gabriele s’inginocchia, gli sostiene il collo; il respiro affannoso è quello del cervo che avevano visto agonizzare giù al fiume, quando erano bambini.
Slega un cuscino dalla sedia, lo poggia sotto la testa di Davide. Non si interessa dei rumori di passi trascinati che provengono da sotto.
Con gli ultimi brandelli di lucidità, Davide mormora il nome del fratello, come a dirgli: avvicinati.
Gabriele poggia l’orecchio destro sulle labbra di lui, in testa si avvia l’inconsapevole gioco delle possibilità. Le cose da dire sono sempre troppe o troppo poche, quando ci si accorge che alla clessidra non rimane che l’ultimo colpo di remi. Quali saranno le sue parole di addio? Grazie? Ti voglio bene? Spara?
«D9.»
Gabriele allontana l’orecchio, estrae l’arma per terminare l’agonia del fratello.
Non gli importa di cosa attirerà il bang bang, né che con tutti quei liquidi sparsi ovunque addio palchetto.
Quando Fargo entra in salotto, trova il superstite a gambe incrociate, sulla sedia, la pistola in bocca per metà.
Gabriele neppure s’accorge di lui. Il suo sguardo è fisso sullo schema, casella D9.
«Che stronzo…»
Colpito.
Luca Pegoraro