La modernità di Livia De Stefani in Viaggio di una sconosciuta

La raccolta di racconti Viaggio di una sconosciuta dell’autrice Livia De Stefani fu pubblicata per la prima volta nel 1963 da Mondadori e oggi è riproposta da Cliquot.

L’autrice

Livia de stefaniLivia De Stefani fu una scrittrice siciliana di successo e riconosciuta dalla società letteraria romana già nella prima metà del Novecento. Oggi purtroppo, come per molte altre grandi scrittrici audaci e pungenti, è stata dimenticata. Intrattenne rapporti con Alberto Savinio, Elsa Morante, Maria Bellonci, Vitaliano Brancati ed altri scrittori di quei tempi, senza mai dimenticare la sua Sicilia che rivive nei suoi romanzi e nei suoi racconti.

Il suo primo romanzo viene pubblicato nel 1953 La vigna dalle uve nere ambientato in una cittadina siciliana dove si consuma la tragedia di vite già segnate dal destino. Magistralmente descrive usi e costumi di una Sicilia immobile e patriarcale; dove l’uomo padrone decide il destino delle donne della sua casa; un uomo duro, rozzo, privo di sensibilità. Dove l’“Onore” è rivendicato ancora con sacrifici di sangue.

Scrisse poi anche una raccolta di racconti, Gli affatturati, e altri romanzi tra cui Passione di Rosa del 1938, Viaggio di una sconosciuta del 1963 e La signora di Cariddi del 1971.

Nel 1991, un mese prima della sua morte, viene pubblicato La mafia alle mie spalle dove l’autrice racconta la sua esperienza personale, gli incontri con i boss mafiosi, l’omertà che contraddistingueva l’ambiente della Sicilia sottomessa a questi poteri. Descrive la mafia, con i suoi codici d’onore e con la bramosia di impossessarsi delle proprietà terriere a qualunque costo.

L’opera, le fissazioni e i fantasmi

Viaggio di una sconosciuta è forse l’opera che più ha reso Livia De Stefani attuale.

Viaggio di una sconosciuta è una raccolta di racconti che hanno per protagonisti personaggi femminili; donne vittime della mostruosità della psicologia, della forza maschile e delle differenze sociali. Donne contro il mondo che sembrano non avere diritto a niente: non hanno diritto agli occhi, alle feste, alla vanità, a cercare il mondo o più semplicemente la città.
La modernità a cui facevo cenno si ritrova soprattutto nell’utilizzo di tecniche narrative come il flashback, il monologo interiore, i flussi di coscienza che rendono la struttura sintattica della De Stefani tipica, particolare ma anche molto complessa, spesso non si ritrovano nessi logici tra gli eventi descritti, bensì troviamo una disorganicità dei collegamenti.

Le tematiche affrontate nei vari racconti sono diverse: il rifiuto dell’identità maschile di alcuni personaggi per il desiderio di essere donna, l’autocastrazione nel racconto Ferdinando, l’amore possessivo di Paolino per Armanda in Sorte di Armanda.

Potremmo infatti dividere i vari racconti in due sezioni: quello delle fissazioni; dove i personaggi organizzano la propria vita in base a delle loro convinzioni oltre le quali non sono capaci di andare e che si trasformano, inevitabilmente, in gabbie, ossessioni, malattie. E la seconda sezione che vede racconti uniti dal filo rosso dei fantasmi psicologici, le manie di persecuzione, i segreti, il lato oscuro di ognuno di questi personaggi ampiamente messo in mostra.

Viaggio di una sconosciutaViaggio di una sconosciuta

Il primo lungo racconto, Viaggio di una sconosciuta, che dà il titolo alla raccolta, è quello che per primo mette in rapporto il lettore con le difficoltà dello stile dell’autrice e delle tematiche scelte.

In questo racconto si narra di una ragazza, probabilmente una servetta sedotta e abbandonata la quale, aspettando un figlio dal suo approfittatore, abortisce custodendo però il “macabro fardello” in una valigetta, vagando disorientata per le vie di Roma.

Non vi è una vera e propria trama narrativa o un particolare intreccio. Gli eventi si susseguono attraverso la coscienza della protagonista sin dall’incipit con il ricorso al monologo interiore e all’indiretto libero della servetta, la quale associa il nome che avrebbe voluto mettere al figlio Agostino a quello di Agostino Amirru, il quale sosteneva che “i nati ad agosto hanno carattere da leone”.

Sembrerebbe solo il racconto di una povera ragazza, di un’emarginata, una disgraziata, di una donna condannata a quello che era il destino di tutte le giovani di paese: diventare madre. Ma poiché la valigetta che si porta dietro, che nasconde il suo segreto, non si apre mai, diventa un racconto particolare che in realtà nasconde un tema molto più grande: l’ostacolo che ciascuno di noi è alla propria libertà e realizzazione.

Tutto il racconto non è che la parabola di una violenza; violenza sulla donna, una donna che può e deve essere solo madre, moglie, figlia, una donna che non ha diritto a sognare o andare oltre, costantemente soggiogata dalla figura maschile prepotente e virile, presa in giro da false promesse, da falsi sentimenti. La violenza che percorre tutto il racconto non è tanto una violenza fisica subita, quanto una lunga e lenta e continua violenza mentale, quella dalla quale non si scappa con tanta velocità. Questo rende il racconto attualissimo e a oggi sarebbe da leggere e rileggere.

autosabotaggio, ossessione, ritratti: gli altri racconti

Il tema della libertà e dell’ostacolarla, quasi in autosabotaggio, è presente anche se sviluppato ogni volta in modo diverso, in tutti i racconti della raccolta, ma è un tema caro a Livia De Stefani, tanto che riappare anche nella raccolta Gli affatturati.

Nella seconda parte della raccolta troviamo racconti scritti tra il 1955 e il 1958, in viene articolata una presentazione di personaggi che hanno dell’incredibile ognuno caratterizzato da un’ossessione: una donna ossessionata dagli averi del marito defunto che controlla maniacalmente armata di rivoltella, una sartina disperata per il suo amore immaginario ormai perduto, un uomo ricco che durante una seduta spiritica viene contattato da Giuseppe Verdi, e i viaggiatori di un inquieto giro in autobus tra nausee, spintoni e inciviltà.

Questi racconti-ritratti manifestano con grande chiarezza e ironia il carattere di questi personaggi, senza mai però appiattirsi o essere eccessivamente crudele, Livia De Stefani usa sapientemente l’ironia della lingua, sceglie termini pomposi, altisonanti in situazioni bizzarre, quasi a sottolineare il ridicolo e l’assurdità delle misere vite di questi personaggi che tanto signori non sono.

Lo stile

Scrive Giulia Caminito nell’introduzione alla raccolta che Livia De Stefani ha una scrittura “articolata e sperimentale” e “una capacità di usare la lingua e le immagini che ogni nuovo autore contemporaneo dovrebbe avere”.

È una scrittura articolata, sperimentale. Come già accennato sono tanti i flussi di coscienza, i flashback e i cambi di persona spesso anche in una stessa frase. Tempo e spazio viaggiano all’unisono senza distinzione tra ricordo e tempo presente, tutto è fuso e tenuto in piedi perfettamente come nella vita di ognuno di noi, dal personaggio che vive, parla e ricorda contemporaneamente, tutto come un puzzle, spostando di continuo la linearità narrativa.

E come giustamente afferma Giulia Caminito:

Questa raccolta, quindi, può essere un punto di partenza per conoscere meglio o conoscere per la prima volta un’autrice valida e piena di sorprese, che ha saputo raccontare mostruosità, menomazioni, cattiverie, sogni e tenerezze dell’Italia di quegli anni, ma anche, a ben leggere, del presente.

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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