Mia madre odia le carote è un romanzo epistolare psicoanalitico, il primo mai scritto.
Il carteggio – così definito dall’autore stesso – tratta di disturbi alimentari raccontati attraverso gli occhi di chi li vive. Tramite un appassionato scambio di e-mail tra Paolo Cotrufo, psicoanalista e professore universitario, e Zoe, blogger afflitta da patemi psichici, saremo catapultati nei cunicoli mentali di una psicopatologia.
«Quel giorno, come tutte le altre volte, mi dicevo di resistere, ma nel mio cervello rituonava un “no, no, no, no, no, non lo fare” più assordante, perché la fame era davvero troppa. Avrei dovuto chiudere immediatamente il frigo e scappare, scappare lontano, in un posto sicuro dove il cibo non esisteva ed io portavo ancora la corona sulla testa. Avrei dovuto essere più forte di quanto lo ero stata in precedenza, ma il mio corpo, sì, sempre quello, il mio solito corpo suppongo, aveva deciso di voler esistere anche lui.»
“Questo gioco di due sconosciuti che reciprocamente si scoprono mi porta a pensare a un incontro-fidanzamento-matrimonio tra due anime o, se preferiamo, tra due menti” così Antonino Ferro in prefazione definisce il rapporto tra i due coautori. Descrizione bizzarra ma del tutto calzante della rapida evoluzione relazionale che si riesce a leggere tra le pagine.
La forza di questo racconto sta tutta nel metodo psicoanalitico e nella rapida successione di frammenti di vita perfettamente rappresentativi. Nonostante la relativa brevità dello scritto, Zoe riesce a toccare tutti i temi e le relazioni fondamentali della sua vita, omettendo forse quella più importante. Sta tutta qui la riuscita dell’esperimento terapeutico: cominciata per curiosità, questa corrispondenza funge da trampolino per l’inizio di una nuova analisi ‘tradizionale’.
I toni del racconto risultano caldi nonostante l’ortodossia che il metodo impone, come una sorta di capoeira psicologica in cui i due partecipanti rivolgono l’un l’altro un’energia che può essere sentita ma non toccata. In itinere lo scambio diventa prezioso materiale didattico per gli aspiranti psicologi, privati dal sistema di una valida alternativa pratica allo studio che, pur necessario, risulta talvolta troppo platonico per dei giovani che si apprestano a diventare professionisti della vita e a lavorare con mente, corpo e sangue.
Il professor Paolo Cotrufo, con quest’esercizio di psicoanalisi fuori metodo massimo, si erge a baluardo della vecchia guardia analitica. In un tempo che corre troppo in fretta, troppo per riuscire a fermarsi per godere dell’imponderata magia delle libere associazioni, questo libro si oppone ai nuovi metodi smart.
La genuinità con cui le lettere si incatenano e la piacevole semplicità del lessico – che corre sempre il rischio di diventare scientifico – rendono il prodotto letterario fruibile da un’utenza che va dal professionista della salute mentale a un qualunque profano. Mia madre odia le carote regge l’attenzione del lettore per tutto il suo percorso. Nonostante le intenzioni non fossero quelle, quando è stata digitata la prima e-mail, il testo riesce a incarnare la curva crescente del climax, quella tensione tipica di un buon romanzo.
Francesco Paparo
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