Emigrazione: esiste davvero un futuro migliore? intervista ad Antonia Di Lorenzo
Sono sempre di più i laureati con più di 25 anni che lasciano il Paese, quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014, anche se l’emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio medio-basso (52 mila, +9%). A rilevarlo è il report dell’Istat sulle ‘Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente‘ relativo al 2017.
Un fenomeno che non dà segni di cedimento, ma sarà davvero la terra promessa che tutti si aspettano? Questa è una domanda che quasi tutte le famiglie italiane si stanno ponendo in questi ultimi anni. Sempre più spesso i nostri giovani sono tentati di lasciare l’Italia per cercare futuro altrove: Regno Unito, Germania, Francia.
Antonia Di Lorenzo, è un’autrice esordiente dotata di grande talento che ha scritto un romanzo, quasi un diario di viaggio, intitolato Quando torni?
“Serena, Sandra e Simone per diverse ragioni si ritrovano a vivere in parte le stesse esperienze. Li accomuna il desiderio di un cambiamento, di quella svolta che dà un senso alla propria vita; Sandra in cerca di sé stessa, Serena aspira ad una realizzazione professionale e Simone insegue un sogno. Londra è la loro meta, con i suoi sobborghi sconosciuti tutti uguali, con il fardello dei coinquilini e con il suo variegato tessuto sociale. Ognuno affronta con occhi nuovi e con la consapevolezza della difficoltà, che tutti i loro progetti in questa città sono realizzabili solo con la costanza, il lavoro e l’impegno. Le persone che incroceranno lungo questo cammino, lasceranno ognuno a suo modo un’impronta importante per la loro crescita, li stimoleranno a migliorare, a non aver paura e a dare il meglio di sé. Qui nessuno viene giudicato per il suo sogno, ci si sente tutti uguali, perché si giunge in questa città spogliati dai pregiudizi, dal passato, dai luoghi comuni e si rinasce come cittadino del mondo. La voglia di farcela è quella che li accompagnerà ogni giorno, durante le faticose ore di lavoro passate a servire ai tavoli, o mentre corrono a perdifiato per raggiungere la metropolitana, sempre in ritardo, sempre di corsa, sfiniti, e tutto per dimostrare a sé stessi e a chi si è lasciato a ”casa”, che ne è valsa la pena andar via e tentare questa strada. Un selciato tortuoso ma che l’istinto ti impone di non abbandonare”.
Intervista all’autrice
D: Quanto è stato difficile descrivere un’altra realtà?
R: Non è stato complicato calarsi in questa realtà perché all’epoca già vivevo a Londra da circa un paio d’anni. Al contrario, metterla nero su bianco mi ha aiutato a familiarizzarci e a far emergere dettagli o contraddizioni a cui prima di allora non avevo prestato molta attenzione. La cosa più complicata è stata calare i personaggi in quella realtà e far sì che ciascuno trovasse il proprio spazio. Volevo che ciascuno di loro fosse abbastanza forte da trasmettere un messaggio di resilienza, ma che al contempo fosse in grado di abbandonarsi sentendosi debole per renderli più autentici, ovvero umani. Oltre a soffermarmi sul fenomeno della migrazione, ho cercato di analizzare anche il percorso introspettivo di cui ciascuno nel bene e nel male ne diventa protagonista, per dare al lettore la possibilità sia di entrare a fondo nella vita dei protagonisti sia di approcciarsi al fenomeno attraverso una chiave di lettura differente, per conoscere l’altra faccia della migrazione, quella che c’è ma che nessuno vede a meno che non la si racconti.
D: Quali sono i pro e i contro che incontrano i protagonisti del tuo romanzo?
R: I personaggi del mio romanzo incontrano tutti i pro e i contro che ci si trova ad affrontare quando si lascia una piccola realtà di provincia per catapultarsi in una metropoli cosmopolita come la capitale britannica. Ciascuno, in modo e misura differente, intraprende un percorso introspettivo in cui anche i dettagli, che spesso potrebbero passare inosservati, vengono posti sotto la lente d’ingrandimento e analizzati prima di compiere il passo successivo. Scontrarsi con una realtà diversa pone l’accento su due fattori che, sebbene sembrino opposti, vanno a braccetto e quasi si fondono assumendo al contempo un’accezione sia negativa che positiva. Parlo dello scoprire cose nuove, in termini di abitudini, circostanze e persone, ciascuna di queste con un proprio bagaglio e cultura, verso cui ci si riscopre flessibili, un po’ per spirito di adattamento ed un po’ per la curiosità di calpestare selciati sconosciuti prima di allora. Allo stesso tempo, però, i personaggi avvertono che sebbene possano trovare uno spazio in quella dimensione che costruiranno man mano, non riusciranno mai ad amalgamarsi completamente, prendendo maggiore coscienza delle proprie radici. Sarà questo scoprirsi che li condurrà alla consapevolezza che sarà necessario costruirsi una casa dentro di se per farvi ritorno ogni giorno, ogni volta che ci si senta soli ma anche tutte le volte in cui si avverte l’esigenza di staccarsi dal vortice caotico in cui molto spesso questa città ingabbia. Ciononostante, sia l’uno che l’altro fattore contribuiranno alla crescita dei personaggi che via via diverranno sempre più consapevoli sia dei loro punti di forza che delle loro fragilità.
D: C’è davvero la terra promessa altrove? Vale la pena di lasciare il proprio paese?
R: Non esiste una terra promessa e i personaggi del mio romanzo lo confermano. Esiste, piuttosto, una realtà in cui se vuoi ritagliarti uno spazio e piantare semi sono necessari degli ingredienti. L’audacia di gettarsi in ciò che ci capita e l’arguzia di saper riconoscere le giuste opportunità. La pazienza, tanta, per poter mettere un mattone sull’altro e costruire qualcosa su cui verrà posto il nostro nome, perché l’avremo voluto noi e fatto da soli, nonostante tutto, con grande coraggio e forza d’animo. Resilienza, in tripla dose, per poter affrontare i momenti in cui vorremmo mollare tutto (e ne saranno tanti). La saggezza, che matureremo man mano, di non lasciar vincere le avversità ma guardare sempre avanti con positività, focalizzandosi su ciò che si può fare invece che su quello che è andato perduto, guardare a quello che si era solo per scoprire chi si è diventati e ripartire da lì. Solo innaffiando con costanza e con il giusto dosaggio potremmo ottenere una pianta profumata dalle tinte vivide. Quest’ultimo non sarà forse il capolinea del viaggio di chiunque decida di intraprenderlo, senza dubbio l’aspirazione di molti, ma credo che il senso sia racchiuso in questo: porsi come obiettivo quello di migliorarsi e costruire qualcosa che sappia di noi, che abbia sopra il nostro sudore e che sia forte tanto quanto l’ostinazione profusa. Credo che in casi come questi la mia risposta alla tua domanda non possa altro che essere ‘Sì, ne vale la pena, solo se si utilizzano gli ingredienti giusti, fin quando ci rende felici, come tutte le cose della vita’.
D: I giovani che partono alla ricerca di un futuro migliore sono disposti a fare enormi sacrifici, spesso per accaparrarsi lavori umili e saltuari: perché non profondere lo stesso impegno e la stessa tenacia in Italia?
R: All’estero si accettano lavori umili per cominciare a costruire una base da cui partire e andare oltre. All’inizio si accetta di tutto perché si é in un Paese straniero di cui non si conosce niente, a partire dalla lingua, ma che nonostante tutto ti offre una possibilità. Uscire da determinati contesti e guardare altrove dipende poi solo da te. I tempi in Inghilterra sono molto più veloci, quindi in poco tempo, se sei bravo, vai avanti, e da che eri lavapiatti potresti trovarti a gestire un intero ristorante. Tra l’altro, anche i lavori più umili vengono trattati con ‘dignità’, nel senso che, a parte qualche furbo di turno da evitare come la peste, il datore di lavoro ti offre un regolare contratto, con tutti i vantaggi che ne conseguono. A Londra lavoro come giornalista, ma anch’io all’inizio mi sono dovuta adattare e ho lavorato come cameriera e all’epoca il fatto di avere una tale stabilità lavorativa mi ha permesso di conseguire un master e di coltivare altri interessi di cui ho colto i frutti col tempo. Non con poche difficoltà, dal momento che lavoravo almeno 35 ore settimanali, ma credo che in una città come Londra sei sopraffatto da un entusiasmo maggiore perché sai che il tuo impegno, prima o poi, sarà ricompensato. Tuttavia, sono vari e personali, credo, i motivi che spingono una persona ad accettare un lavoro ‘umile’ all’estero invece che in Italia. Semplicisticamente, potrebbe essere anche spinto soltanto dall’idea di fare un’esperienza e imparare la lingua. Ma si deve smettere di pensare che diventiamo ‘servi’ di un altro Paese bistrattando ‘casa nostra’, perché non si gioca ad armi pari, purtroppo per noi che andiamo via.
D: Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere un percorso simile?
R: Suggerirei di gettarsi a capofitto vivendosela come si fosse un ventaglio, ovvero aprendosi per contrastare l’afa per poi chiudersi quando occorre, per poi aprirsi e chiudersi ancora e ancora. Al contempo, è importante mantenere la testa sulle spalle ed essere consapevoli che nessuno regala nulla né che sia semplice, perché occorre fare sacrifici e lavorare tanto per ottenere dei risultati.
D: Qual è il messaggio che hai voluto dare con il tuo romanzo?
R: Non ho scritto il mio romanzo avendo ben chiaro il messaggio che volessi trasmettere, è venuto fuori man mano che scrivevo. Solo in corso d’opera ho realizzato che ciascuno dei personaggi fosse portavoce di un messaggio differente, ma che insieme ne diventava uno. Serena vuole dirci che non basta il tempo per ottenere ciò che si desidera, lo si deve volere sul serio, occorrono pazienza e determinazione. Sandra ci insegna che ogni essere umano ha diritto ad una seconda possibilità, ma è necessario crearsela non esigerla come se ci spettasse. Mentre Simone ci insegna che quanto più ti concederai con bontà d’animo alla vita, tanto più questa ti accarezzerà benevolmente, offrendoti una porzione di se che possa arricchire il tuo bagaglio. Ciò non significa che non possa talvolta anche toglierti qualcosa, senza alcuna evidente ragione. Ma anche quando crediamo di non meritarlo, un giorno ti restituirà tutto, sotto forme diverse, perché in fondo la vita è come un elastico: torna sempre tutto indietro. Tutti e tre insieme, invece, ci insegnano che siamo tutti esseri imperfetti ed in quanto tali la perfezione non può appartenerci. Tuttavia, nella nostra imperfezione, potremmo imparare a riservarci uno spazio, dentro di noi, in cui rifugiarci quando ne si senta il bisogno, un luogo caldo che chiameremo casa, imparando così a sentirci pieni per quello che si è e non per ciò che si ha.
D: Progetti futuri?
Ho sempre pensato che ci siano momenti in cui tu debba lasciar correre ed altri in cui è giusto prendere la vita per la gola, strizzarla un po’ per prendere tutto quello che si può. Talvolta occorre tirar dritto, altre sterzare. In questo momento sento sia giusto tirar dritto un altro po’ fin quando una voce da dentro mi indicherà una strada alternativa, ma ora sono soddisfatta così. L’unica certezza del mio futuro è la scrittura, è parte di me e non potrei mai rinunciarvi, significherebbe quasi annullarmi. Spero piuttosto di trovare la giusta ispirazione per mettere giù il mio terzo romanzo. Qualcosa è già in cantiere ma non c’è fretta.
L’autrice
Antonia Di Lorenzo vive ormai da 3 anni a Londra. Un viaggio intrapreso senza molte aspettative, ma con la consapevolezza di dover dare un nome a quello che più desiderava dalla vita. Dalla sua esperienza nella città londinese è nato “Quando torni?”, un romanzo nel quale viene raccontato il fenomeno dell’immigrazione di giovani (e non) verso la capitale britannica in un’ottica più intima.
Floriana Naso