Chi sono i Sultans of Swing? Intanto sono il titolo di una canzone dei Dire Straits ma rappresentano anche dei personaggi molto verosimili, a metà strada tra musicisti semidilettanti e musicisti sfigati, come se ne potrebbero incontrare a centinaia nei pub di qualsiasi capitale europea. In questo caso la capitale è Londra e la storia di questi personaggi è raccontata in una canzone di un gruppo britannico – i Dire Straits, appunto – che dell’ambiente musicale e dei concerti dal vivo londinesi sul finire degli anni Settanta avevano una conoscenza profonda e un’esperienza diretta.
I Sultans of Swing potrebbero essere la brutta copia, l’alter ego in chiave negativa degli stessi Dire Straits, che raccontando del loro duro ambiente degli esordi, competitivo e beffardo, spietato e grottesco, mettono in moto un meccanismo metanarrativo: una band che canta di una band. Sia ben chiaro: il testo non dileggia i Sultans of Swing, che si esibiscono di fronte a un pubblico sparuto e poco interessato; al contrario, presenta la loro goffa tenacia in modo quasi commovente e compassionevole.
Dicevo del pubblico sparuto e disinteressato. Sparuto in quanto, entrando nel locale dove si sentono suonare i Sultans of Swing, non si vedono molte facce (Well, now you step inside / But you don’t see too many faces). In più, i pochi presenti non sembrano prestare troppa attenzione a coloro che si esibiscono dal vivo perché non suonano il genere musicale preferito dal giovane pubblico (young crowd), il quale se ne frega assolutamente di qualunque gruppo che impieghi nel suo organico strumenti a fiato come la tromba (They don’t give a damn About any trumpet playing band). E invece i Sultans of Swing fanno largo uso di ottoni, come dimostrano alcuni versi, per esempio all’inizio della canzone, dove l’io narrante racconta di essersi fermato all’improvviso perché ha sentito una band suonare qualcosa che lo attrae. In questo caso viene usata l’espressione A band is blowing Dixie. Blowing vuol dire “soffiare”, proprio come si fa con gli strumenti a fiato. In questo contesto il verbo soffiare viene usato come sinonimo di “suonare”, ovvero suonare con uno strumento a fiato. Tale peculiarità viene confermata più avanti, quando si dice che i corni (o forse si intende più genericamente alcuni ottoni) stanno emettendo dei suoni così forti da raggiungere il sud di Londra (Ah, but the horns, they blowin’ that sound / Way on down south /Way on down south, London town).
Dixie, invece, sembra un riferimento al genere musicale Dixieland, un jazz di New Orleans. Ma Dixie è un termine che designa la cultura statunitense del sud, che comprende stati come l’Alabama o il Mississipi, dove dominano il jazz e il blues, generi notoriamente caratterizzati da sonorità ottenute con strumenti a fiato quali la tromba, il sassofono e il clarinetto. Più precisamente, Dixie è il soprannome che venne dato agli stati ribelli del Sud, agli Stati Uniti Meridionali, i quali, dichiarando la propria secessione, diedero origine alla guerra civile americana.
Ma torniamo alla canzone. Cosa preferirebbe il giovane e schizzinoso pubblico che frequenta il pub dove si esibiscono i Sultans of Swing? Il testo della canzone lo dice apertamente: loro vorrebbero qualcosa di più alla moda, come il moderno rock (It ain’t what they call Rock and Roll). I Sultans, al contrario, stanno suonando un repertorio jazz (to hear the jazz go down), e al disinteresse del pubblico rincarano la dose passando a dei pezzi ancora più intimamente legati alla tradizione musicale degli stati uniti meridionali (ecco spiegato il Dixie di cui parlavo prima), mettendosi a suonare il cosiddetto creole, genere particolarmente legato alla Louisiana con marcate influenze africane (And the Sultans / Yeah, the Sultans, they play Creole / Creole).
Ultima annotazione sui generi musicali: facendo riferimento a un certo Harry, chitarrista del fine settimana senza troppe aspirazioni, il testo dice che lui è comunque in grado di suonare benissimo il cosiddetto honky tonk, genere che spopola nel Texas tra il periodo del proibizionismo fino al secondo dopoguerra, anche se appunto si limita a dare sfoggio delle sue abilità solo il venerdì perché durante la settimana lavora (He can play the honky tonk like anything / Saving it up for Friday night).
Ricapitoliamo: la canzone Sultans of Swing è colma di riferimenti a diversi generi musicali già a partire dal titolo stesso. Eccoli in ordine di apparizione: swing, dixie, jazz, honky tonk, rock and roll, creole. Il rock è l’unico che non suonano ma è anche l’unico a essere desiderato dall’immaturo pubblico. Da questo punto di vista, la canzone è una critica ai gusti musicali uniformati del pubblico, reso schiavo dalle mode e dalle nuove tendenze. I Sultans of Swing possono offrire tante sfumature diverse, in sonorità e ritmo, attingendo a un vasto repertorio che proviene dalla stessa terra del rock, l’America, ma la limitatezza dei gusti musicali di chi ascolta la musica dal vivo nei pub londinesi non va oltre una singola preferenza.
Fin qui la spiegazione letterale del testo. Accanto a questa storia evidente e lineare è possibile intravedere una traccia salace, fatta di allusioni sessuali nascoste tra le righe.
Cominciamo dai due generi musicali che si contrappongono di più: da una parte lo swing del titolo e dall’altra il rock and roll amato dal giovane pubblico. To swing, nello slang inglese, indica una sessualità promiscua, e questo è particolarmente vero per le coppie fisse che praticano lo scambismo, tanto che “scambista” si traduce appunto con swinger.
C’è poi il termine rock and roll, che è un’endiadi, in quanto si riferisce a un movimento ondulatorio e al rollio, come quello di una nave, che tanto allude a quello delle spinte pelviche nell’amplesso. Ecco, allora, che i giovani che si accalcano in un angolo del bar, incuranti del jazz perché il rock è la sola cosa che apprezzano, vengono in qualche modo trattati con aria di sufficienza dal gruppo che sta suonando: i giovani inesperti non conoscono il sottile fascino dello swing, che è per palati più raffinati, come quello dei sultani, sovrani indiscussi della varietà di gusti e generi.
I giovani del pubblico non ascoltano la performance dei Sultans anche perché sono presi da interessi e attività più terrene e corporali, in quanto stanno pomiciando in un angolo (they’re fooling around in the corner). Da notare l’assenza di donne, visto che il testo dice esplicitamente che si tratta di un gruppo di soli maschi (a crowd of young boys). A questo particolare se ne aggiunge un altro. Nel testo ufficiale della canzone si legge che questi ragazzi sono ubriachi e indossano larghi pantaloni marroni e scarpe con la suola rialzata (Drunk and dressed in their best brown baggies / And their platform soles). Come ho spiegato in altre occasioni, l’inglese parlato si presta spesso ad ambiguità dovute all’omofonia di certe espressioni. Soprattutto nel canto, dove alterazioni prosodiche e metriche possono notevolmente accentuare talune ambiguità fonetiche, la lingua inglese si presta ancora di più a dare origine a curiosi misunderstanding. È probabilmente il caso dei versi in cui si parla dei ragazzi ubriachi, dove, al posto della mera descrizione del loro abbigliamento, è facile sentire che stanno calpestando noci e preservativi con le loro suole rialzate (Chuckin’ chestnuts and sperm baggies in their platform soles). I larghi pantaloni marroni (brown baggies) diventano eufemisticamente dei sacchetti di sperma (sperm baggies), ovvero profilattici; il fatto che vengano calpestati insieme alle noci – non è difficile immaginare che le noci vengano servite in un pub – ci fa capire il disordine che regna nel locale, il cui pavimento è cosparso di qualunque rifiuto generato dalla baraonda.
Nel testo della canzone si notano, infine, alcune espressioni che ricorrono con insistenza. Per ben due volte si usa il verbo to blow, che vuol dire soffiare, al posto di suonare (blowing Dixie; blowin’ that sound). All’inizio di questo articolo ho spiegato che gli strumenti a fiato hanno un ruolo importante nell’organico della band, per cui è ammissibile l’uso di questo verbo. Tuttavia, l’atmosfera di promiscuità che si avverte nella canzone, lascia facilmente associare questo verbo alla pratica del sesso orale sul maschio, che in inglese si traduce con blowjob. A rafforzare questa impressione c’è un altro verso: Coming in out of the rain to hear the jazz go down. Il verso comincia con il verbo “venire” (che in inglese come in italiano indica ugualmente l’orgasmo) e si conclude con l’espressione idiomatica “andare giù”, che in inglese vuole precisamente significare, ancora una volta, la fellatio, la stimolazione orale del sesso maschile.
L’ultimo riferimento sessuale presente nella canzone può essere rintracciato anche nelle ultime battute, quando il cantante dei Sultans of Swing fa qualche passo per posizionarsi davanti al microfono (And then the man / He steps right up to the microphone) per dire che ora di andare a casa e si sbriga con l’ultima cosa (Then he makes it fast / With one more thing). Il testo non dice che l’uomo canta in fretta l’ultima canzone prima di congedarsi; il testo dice che fa in fretta con qualcosa, alludendo a quella che volgarmente viene definita una sveltina. Forse ci vuole un eccesso di malizia per trovare tutte queste allusioni disseminate nel testo della canzone, ma la loro quantità è a dir poco sospetta, e non dimentichiamoci che Mark Knopfler, leader dei Dire Straits e autore della canzone, insegnava letteratura all’università prima di dedicarsi completamente alla carriera musicale. Insomma, chi ha scritto questa canzone sa bene come giocare con le parole e la retorica. E che dire poi dell’immagine finale del microfono quale allusione fallica in un pub che ha tutta l’aria di essere un locale gay?
Giuseppe Raudino
SULTANS OF SWING
Testo di Mark Knopfler
You get a shiver in the dark
It’s raining in the park
But meantime
South of the river
You stop and you hold everything
A band is blowing Dixie
Double four time
You feel alright
When you hear the music ring
Well, now you step inside
But you don’t see too many faces
Coming in out of the rain to hear the jazz go down
Competition in other places
Ah, but the horns, they blowin’ that sound
Way on down south
Way on down south, London town
Check out guitar George
He knows all the chords
Mind, it’s strictly rhythm
He doesn’t want to make it cry or sing
Left-handed old guitar is all he can afford
When he gets up under the lights to play his thing
And Harry doesn’t mind if he doesn’t make the scene
He’s got a daytime job – He’s doing alright
He can play the honky tonk like anything
Saving it up for Friday night
With the Sultans
With the Sultans of Swing
And a crowd of young boys
They’re fooling around in the corner
Drunk and dressed in their best brown baggies
And their platform soles
[And they crowd a young bar and stand, foolin’ around in the corner.
Chuckin’ chestnuts and sperm baggies in their platform soles]
They don’t give a damn
About any trumpet playing band
It ain’t what they call Rock and Roll
And the Sultans
Yeah, the Sultans, they play Creole
Creole
And then the man
He steps right up to the microphone
And says at last
Just as the time bell rings
“Goodnight, now it’s time to go home”
Then he makes it fast
With one more thing
“We are the Sultans –
We are the Sultans of Swing”
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