C’è un quadro che stuzzica la mia curiosità ogni volta che mi capita sott’occhio: si chiama I nottambuli (o Nighthawks, secondo il titolo originale) e l’ha dipinto Edward Hopper. Il soggetto è un diner che dà su un angolo di strada, con una grossa vetrata per parete, cosicché ci si possa guardare dentro dall’esterno, e in effetti, a noi che guardiamo, pare proprio di sbirciare da fuori. Al suo interno quattro persone – due uomini, una donna e il barista – se ne stanno ciascuno per fatti propri, senza interagire tra di loro, mentre tutt’intorno la città – la città? – tace.
Scommetto che è capitato a tutti, prima o poi, di posare gli occhi su un quadro e chiedersi se non ci sia qualcosa di più oltre la tela. L’unica differenza – ed è una differenza che separa inesorabilmente me da chiunque altro abbia visto I nottambuli – è che ognuno poi finisce per immaginarsi ciò che vuole.
C’è questo racconto di Paola Mammini, per esempio, in cui la scrittrice premiata col David di Donatello adotta un punto di vista altro, inumano, provando a immaginare come sarebbe vivere come il cane de Il venditore di fiammiferi di Otto Dix. Lo fa con arguzia e leggerezza, lasciando stare l’irriverenza del quadro che l’ha ispirata, e trovando alla fine una tenerezza consolatoria che mai ci si potrebbe aspettare dall’immagine di un ambulante storpio seduto su un marciapiede e di un bassotto che gli urina addosso.
Il fatto è che un dipinto, un affresco, un tratteggio su un pezzo di carta o uno schizzo lasciato sui muri non racconta mai una storia completa: piuttosto, ce ne restituisce soltanto un frammento, un pezzettino che si sforza, malgrado la sua esiguità, di condensare in sé stesso tutto un prima e un dopo che però scorrono sempre un po’ fuori dai bordi della superficie disegnata. Qualche volta, ci imbattiamo in persone che non riescono a smettere di porsi domande una volta distolto lo sguardo, e così ci raccontano la loro versione dei fatti. Ma è, appunto, loro, e non necessariamente uguale alla nostra.
Il quadrato nero di Malevič è qualcosa di simile. Più lo guardi e più ti sembra di intravedere qualcosa in quel nero.
Il quadrato nero, in effetti, non è altro che un quadrato nero, disarmante nella sua semplicità, invitante nel suo oceano di possibilità: come si fa a osservarlo e a non rischiare di vederci qualcosa di personale, di unico e di diverso da chi è accanto a noi e sta osservando lo stesso quadro? Se a qualcuno di voi fosse toccato di scrivere racconti a partire dalle medesime opere che hanno condotto a Illusioni, con ogni probabilità sarebbe inciampato in strade, persone, situazioni e ambienti del tutto diversi; cionondimeno, più sfogliavo le pagine e più mi convincevo che le cose devono essere andate esattamente come le raccontano loro.
In un cinema di New York, una ragazza dai capelli biondi e con un lungo vestito azzurro non siede sulla poltroncina rossa insieme agli altri spettatori; se ne sta in piedi, nel corridoio vicino alle scale, in atteggiamento riflessivo – ma starà davvero pensando? E cosa può essere così importante da allontanarsi dalla proiezione e rimanere in disparte? Neanche la voce narrante di Luci calde, di Maurizio Vicedomini, conosce la risposta, ma mentre si pone la stessa domanda ci rivela tutto un mondo che attende la ragazza oltre quelle scale, al di là di una sala cittadina in una metropoli degli anni Quaranta. E in Sorridi, sono giorni di miracoli, di Antonio Esposito, un uomo passa le giornate ad aspettare qualcuno che forse non tornerà, avviluppato in altre angosciose domande («Chissà dove è andata e cosa pensa di me») mentre snocciola i suoi tormenti su una figura di donna che, in fondo, chi è? Che cosa sappiamo di lei?
A questo punto, dovrei fare un’ammissione di colpa e riconoscere che questa doveva essere una recensione, e invece assomiglia di più a un resoconto personale, a una pagina di diario senza alcuna pretesa di sembrare assoluta e inattaccabile. Tutte le volte che sono arrivato in fondo a un racconto di Illusioni, mi è parso di essere rimasto da solo con le mie domande e la mia fantasia, e nulla più. Francamente, è stato bellissimo. Provate a farlo anche voi, mettetevi davanti a un quadro e lasciatevi andare all’immaginazione. Poi leggete anche Illusioni, e sperimentate quant’è bello inventare, creare, sognare.
Andrea Vitale
*Illusioni. Ovvero, tredici modi di raccontare quadri contiene racconti di Mattia Bragadini, Igor Artibani, Francesco D’Isa, Antonio Esposito, Luca Franzoni, Giorgio Ghibaudo, Paola Mammini, Demetrio Paolin, Andrea Siviero, Valerio Valentini, Maurizio Vicedomini, Marilena Votta e Paolo Zardi.
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