L’ala sinistra della farfalla. Abbacinante di Cărtărescu
Tanto per cominciare mi permetto un azzardo, un accostamento (in)giudizioso: nel 1996, dando alle stampe Abbacinante. L’ala sinistra, Cărtărescu entra a pieno titolo tra i grandi “autori sul tempo” del Novecento, chiudendo – almeno simbolicamente – il cerchio lasciato in sospeso[1] da Marcel Proust nel 1927, al termine della sua Recherche.
Approfondisco: Mircea Cărtărescu nel 1996 consegnò a un editore di Vienna il primo volume di un’opera dalla rigida struttura. Nel tempo, tre parti: L’ala sinistra (dove la figura centrale è la madre); Il corpo (dove protagonista è l’autore stesso); L’ala destra (dove domina la presenza del padre). Le tre parti, però, che simbolicamente vanno a ricostruire l’anatomia di una farfalla, assumono, oltre ai valori tematici indicati in parentesi, anche un valore allegorico: il passaggio da sinistra a destra, infatti, va a indicare una scansione di tre momenti temporali dove all’ala sinistra corrisponde il passato, al corpo il presente e all’ala destra il futuro. Un progressivo viaggio, come vuole l’autore, «dalla visione alla realtà».
Il libro, Mircea preferisce libro («non mi considero un romanziere, ma un autore di libri […] perché il romanzo è qualcosa che non mi interessa più, per il semplice fatto che oggi si tratta di un genere così ampio che può includere quasi ogni cosa scritta in prosa e raccolta in volume. Di conseguenza la categoria non ha più troppo senso: io vorrei scrivere solo ‘libri’»), che per ora ho letto è il primo. Il volume dedicato al passato, alla riflessione sulla memoria, al rapporto con la madre.
La prima esigenza di un recensore dovrebbe essere individuare punti di forza e di debolezza del libro e sviscerarli per permettere all’eventuale lettore di orientarsi nel testo. Sensazionalisticamente, mi piacerebbe aggirare questo passaggio e dirvi semplicemente che siamo di fronte a un capolavoro[2] (per lingua, struttura, impianto retorico e quant’altro). Ciò semplificherebbe il mio lavoro e mi eviterebbe di impelagarmi in una recensione che – come già sosteneva Vanni Santoni – risulta impossibile. Ma non posso aggirare l’ostacolo.
Forse non è possibile delineare con chiarezza ogni linea tracciata dall’autore all’interno dell’opera. Però è possibile individuare un punto di partenza. Il momento prima che la penna si disperda nel pulviscolo narrativo.
Nelle prime pagine de L’ala sinistra un giovane – l’autore – si accinge a cominciare la stesura del romanzo che avete tra le mani. Di fronte a lui, da viale Ştefan cel Mare, una Bucarest pronta a essere nascosta da un edificio che sarà tirato su di lì a poco. L’occhio del giovane prova quindi a raccogliere, tramite il trittico di finestre della propria camera, il maggior numero d’informazioni possibili da quel paesaggio. La Bucarest vista dalla finestra, e che si vedrà per poco tempo ancora, è una città la cui storia si mescola alle vicende personali di chi scrive, all’infanzia, a un periodo fatto di sogno e violenza. Alla vista si sovrappone il Ricordo. Un Ricordo con la R maiuscola perché foriero di ciò che è stato ed è andato perso. Un Ricordo che nella sua irrecuperabilità si inserisce nella scrittura lasciando tracce fatali; al punto da trasformare la città nel paesaggio interiore dello scrittore («ad esempio molti commentatori di Abbacinante hanno scritto che si vede molto Bucarest, la Bucarest degli anni della dittatura, ma si tratta di una città immaginaria, non sono voluto neanche andare a ricontrollare i luoghi, le impressioni, ho ricreato attraverso la memoria una città ectoplasmatica che costituisce una sorta di sensazione concentrata di Bucarest. Ho sempre voluto una mia città immaginaria, così me la sono creata»). Il ricordo frappone il passato al presente e il flusso narrativo prende il via. Da qui, di fronte alle tre finestre di viale Ştefan cel Mare, la memoria diventa sogno, poi visione, poi di nuovo realtà. Da qui ci si comincia a perdere – con immenso piacere – nelle pagine di Cărtărescu.
Ogni avvenimento del mondo e ogni particella di sostanza e ogni quantum di energia sono presenti in una luce transfinita laggiù, il Ricordo.
Come per Proust, il lavoro di Cărtărescu sul recupero della memoria è orientato verso la ricerca di momenti del passato che tendano al presente; un’ininterrotta linea, da A (l’attimo andato) a B (l’attimo vissuto). All’esperienza proustiana d’inizio secolo scorso, però, Mircea Cărtărescu prova a sommare elementi altri (quali il sogno, la cabala, le scienze) come per tentare nuove strade; per offrirsi nuove possibilità per recuperare il tempo perduto. Eppure in entrambe le opere la scrittura romanzesca[3] diventa strumento e definizione di un tempo, interiore o esteriore che sia, utile a tentare di ripercorrere quanto siamo stati; prima dell’inevitabile fallimento.
Per chiudere: una suggestione che credo possa aiutare a focalizzare quest’opera nella mente di chi legge. Tempo fa qualcuno[4] ha detto che scrivere un romanzo – intendeva il romanzo realista – è come scendere in strada con uno specchio in mano. Ora: immaginate che alla strada si mescolino elementi onirici, visionari, cabalistici, biblici, fisici, biologici e quant’altro. Lasciate che tutto questo stia insieme e poi rigettate l’occhio nello specchio.
Ecco: ciò che vedrete è Abbacinante.
Antonio Esposito
[1] Il “lasciato in sospeso”, più che un’accusa di incompletezza a Proust, è una presa di coscienza dell’impossibilità di poter chiarire definitivamente in narrativa – come in altri campi – la questione tempo.
[2] Prego di prendere comunque il termine con le pinze. Ai capolavori viene riconosciuta la prova del tempo, segue quella brutta parola che è la “canonizzazione” e centinaia di altri meccanismi, talvolta richiamanti l’universalità dell’opera, che permettono dopo centinaia di anni di avere un libro ancora a scaffale, di vederlo citato nei manuali di letteratura o di relegarlo in quella categoria mista di ancor vivo, brulicante e polveroso che è il classico. Qui intendo qualcosa di più viscerale, che ti fa saltare dalla sedia e che annienta e rilancia – al momento della lettura, s’intende – ogni sicurezza acquisita in campo narrativo.
[3] Il corsivo è un’attenzione verso Cărtărescu che, come detto, rifugge il titolo di romanziere.
[4] Quel qualcuno è Stendhal, dalle prime pagine de Il rosso e il nero.