Poetesse italiane del Novecento: Bruna Bianco
Solitudine
Di giorno mi protegge solitudine
E quando è notte mi fa scudo angoscia.
Nell’ombra mia sigillo il tuo pensiero
Ed è il suo scrigno un’anima fanciulla.
Del primo incontro l’attimo passò
E, breve, il tuo ritorno l’indomani
Mi ha chiuso in un tumulo di secoli.
La penna è quella di Bruna Bianco (1940), poetessa e giurista brasiliana, che nel 1966 iniziò un’intensa storia d’amore con il “lupo di mare” Giuseppe Ungaretti. Solitudine è una delle cinque poesie di Le repliche di Bruna, una sezione di Dialogo, una raccolta in cui i due amanti si rispondono a colpi di versi. La scrittura della poetessa è improntata da un tono pacato e solenne che riecheggia a mo’ di sentenza, come nel verso “Nell’ombra mia sigillo il tuo pensiero”. La Bianco sigilla dentro di sé il suo sentimento per Ungà e affida ai versi il compito di raccontare il loro legame che vuole rendere eterno, senza tempo. Il loro incontro avvenne quando il poeta, alla veneranda età di settantotto anni, raggiunse la consapevolezza che l’amore non poteva estinguersi se non con la morte e che dunque l’età e la vecchiaia erano un mero dettaglio di poco conto dinanzi alla freschezza costante dei sentimenti. È proprio la freschezza ad avvolgere i versi che la poetessa brasiliana, allora ventiseienne, rivolge a Ungà. Le parole diventano lo specchio del loro amore carico di una passionalità e di una vitalità che niente aveva a che fare con l’età senile. Nel dettaglio, in Solitudine ci troviamo dinanzi a una donna in balìa di un’angoscia a tratti asfissiante. La sensazione che nella poesia si avverta quasi una mancanza di ossigeno traspare anche nei verbi che marcano le fattezze di ambienti chiusi ma anche nei sostantivi come “tumulo” e “scrigno”.
LA FORZA ETERNATRICE DELL’AMORE
È proprio in uno scrigno che la poetessa chiude e sigilla la sua passione per eternizzarne la forte vitalità. Bruna sembra implodere dinanzi a questa inaspettata freschezza amorosa che la traghetta verso una realtà priva di una dimensione temporale, la stessa che, invece, ritroviamo nel loro primo incontro caratterizzato, come si apprende dal componimento, dalla brevità. La Bianco ancora oggi ricorda con straordinario pàthos la carica emotiva dei loro primi incontri. In una intervista, da lei rilasciata in occasione della pubblicazione delle quattrocento lettere scritte da Ungaretti indirizzate alla poetessa (edizioni Mondadori, 2017), descrive un particolare momento in cui il poeta si avvicinò a lei avvolgendole con un braccio il fianco:
«Io ho sentito una scossa, una scossa non di sentimenti ma una scossa di vigore fisico mai sentito. Sai quando qualcuno ti abbraccia con l’intensità quasi a ridurti in cenere? Io mi sono incendiata e ho capito che era successo qualcosa di non normale in me ».
E ancora ricorda:
«Mi sentivo forte, grande, una regina, come lui mi chiamava: prego che tutte le donne possano provare ciò che ho provato io».
È interessante notare l’esaltazione delle forti emozioni del momento e la volontà di conservazione delle stesse. Infatti dai versi di Bruna si denota non solo quel “vigore fisico”, la passione terrena schiava della brevità angosciante del tempo ma anche la tenacia di vincere quel tempo e di rendere imperituro il sentimento. Dunque nella giovanile Solitudine la poetessa anticipa un fattore che sarà oggetto costante di sue future riflessioni: pian piano si svincolerà dalla sfera privata e celebrerà quasi con devozione e gratitudine il suo amore per Giuseppe Ungaretti che vuole promuovere come un patrimonio non individuale ma universale, esemplare ed eterno.
Valentina Grasso