Lo specchio è uno strano dispositivo ottico, deriva dal vetro, dalla sua trasparenza, ma invece di lasciar passare i raggi luminosi li respinge restituendo ai nostri occhi un’illusione di realtà. Ci guardiamo allo specchio, guardiamo il nostro corpo – o meglio, il suo riflesso – frontalmente, in un modo che normalmente ci è negato, ci relazioniamo con noi stessi, con la nostra identità, non senza dubbi. Se lasciamo vagare il nostro sguardo sui particolari, se indugiamo a scavare nel fondo del riflesso delle nostre pupille, potrebbe cominciare a farsi spazio un’inquietudine, un dubbio, una lacerazione, una frattura di quel legame identitario con la cosa nello specchio: sono davvero i miei quegli occhi che mi scrutano?
La scimmia senza sforzo diventò/ l’uomo, che un po’ più tardi disgregò/ l’atomo.
Così si apre il sesto canto della Piccola Cosmogonia Portatile di Raymond Queneau, “come l’insetto i fiori, l’uomo feconda le macchine che stanno aspettando per realizzarsi”, avverte il sommario del canto; la tecnologia, nostra figlia, ci accompagna da sempre, da quando abbiamo abbandonato la purezza primigenia dell’Eden, e oggi che quel caotico e magmatico mare di oggetti cantati da Queneau trova un’inedita unità nel digitale, negli schermi opachi dei nostri compagni di vita, non possiamo non andare alla ricerca, nel loro cangiante riflesso, della nostra identità.
Impegnati in una continua e impossibile quête ci lasciamo inghiottire dai nostri dispositivi che, novelli palazzi incantati di Atlante, ci attirano con la promessa di soddisfare i nostri desideri ma, come nell’Orlando Furioso, «il palazzo è deserto di quel che si cerca ed è popolato solo di cercatori. Questi che vagano per logge e per sottoscale, che frugano sotto arazzi e baldacchini sono i più famosi cavalieri cristiani e mori: tutti sono stati attratti nel palazzo dalla visione d’una donna amata, d’un nemico irraggiungibile, d’un cavallo rubato, d’un oggetto perduto. E ora non possono più staccarsi da quelle mura: se uno fa per allontanarsene, si sente richiamare, si volta e l’apparizione invano inseguita è là […]» (Calvino, Perché leggere i Classici).
La serie di Black Mirror mette in scena proprio questa affannosa e labirintica quête, spettacolarizzando quel dramma identitario che il digitale acuisce manipolando alla base la nostra corporeità e la nostra percezione dello spazio-tempo. Una fantascienza immersa nei mutamenti del nostro presente che si snoda in una serialità che, come fa notare Alfonso Amendola, «spezza nettamente il flusso delle soglie di attesa e continuità tipiche della serialità e ci spinge (cambiando situazioni e personaggi di episodio in episodio) verso un universo distopico e ipertecnologico».
Il libro I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale (Rogas edizioni, 2018), curato da Mario Tirino e Antonio Tramontana, prova a fotografare e a catturare l’anima di questo mondo narrativo complesso e ancora in divenire. Come emerge dal titolo, il testo è concepito come un dizionario realizzato da diversi studiosi che, attraverso un approccio multidisciplinare, tentano di esaminare i vari livelli di questa serie frastagliata e multiforme. Se diamo uno sguardo alle varie voci che compongono il volume – «Algoritmo» di Mario Pireddu; «Atmosfera» di Giulia Raciti; «Audience» di Antonella Mascio; «Corpo» di Claudia Attimonelli; «Democrazia» di Milena Meo; «Esperienza» di Vincenzo Susca; «Illusione» di Federico Tarquini; «Interazione» di Antonio Tramontana; «Memoria» di Damiano Garofalo; «Morte» di Alessandra Santoro; «Paranoia» di Mario Tirino; «Pathos» di Ivan Pintor Iranzo; «Paura» di Fabio D’Andrea; «Schermo» di Fabio La Rocca; «Serialità» di Angela Maiello; «Tecnica» di Antonio Lucci; «Zootecnica» di Pier Luca Marzo – ci accorgiamo però che ognuno di questi concetti è un isolotto (teorico) di questo mondo narrativo, in cui gli autori/guida ci accompagnano alla ricerca di un tesoro che nasconde il senso delle narrazioni.
Più che un glossario allora, gli autori del libro disegnano una mappa che ci permette di navigare e di orientarci nel tempestoso mare della serie televisiva. Non siamo, quindi, di fronte a una semplice raccolta di analisi delle puntate: Tirino, Tramontana e i vari autori esplorano, con metodo e accuratezza teorica, tutte le tensioni e quei violenti movimenti tettonici che hanno portato alla nascita dell’arcipelago di Black Mirror, lasciando emergere, con i loro carotaggi, il cangiante riflesso di un’umanità in continua ricerca di un’identità sempre più sfuggente e mutevole.
Capire il mondo, l’uomo, la società e l’ambiente mediale in cui viviamo è ciò che ha spinto gli autori a partire per questa quête, ed è ciò che dovrebbe spingere anche noi ogni volta che ci immergiamo nella serialità; questo libro può aiutarci a non naufragare, o peggio, affogare nel nostro quotidiano navigare nel mare dei media.
Lorenzo Di Paola
Quando le amiche dormono insieme nessuno si chiede che rapporto ci sia fra di loro:…
Nobody Wants This è una boccata d’aria fresca nel panorama delle commedie romantiche. Perché la…
#gradostory Gomito alzato, pistola in pugno. Sguardo fisso all’orizzonte – chiuso. Una flotta di navicelle…
#gradostory Somewhere Only We Know, canzone pubblicata dalla rock band britannica Keane nel 2004, è…
Condominio Ogni mattina, alle 4.50, l’inquilino dell’interno 6 prepara il caffè in cialda. Dal momento…
Quest’estate sono entrato in una libreria con la semplice intenzione di dare un’occhiata in giro,…