Nell’estate del 1963 io mi innamorai e mio padre morì annegato.
Così comincia la storia di Michael, intraprendente e delicato sedicenne in tormentosa ricerca della vita e delle sue sfumature più nascoste. Così comincia “Acqua di mare“. Siamo sull’isola di Bone Point. È estate e tutto si svolge all’ombra dei suoi sonnacchiosi e salati ritmi. Michael nuota, osserva gli adulti che giocano ai loro giochi pericolosi, in camicie di lino sbottonate e secchielli del ghiaccio buttati nell’erba, gironzola in bicicletta, va a pescare, riflette a pancia all’aria guardando i colori del cielo al tramonto. E poi – ovviamente – s’innamora.
S’innamora di Zina, bellissima ventenne dalla personalità controversa e dall’animo tumultuoso, che lo inizia alla fotografia così come alla vita. Ma Zina è la femme fatale, il simbolo del fascino e della crudeltà degli adulti. E s’innamorerà del padre di Michael.
La storia è semplice, lineare. Non viene sprecata una parola di troppo. Una famiglia come tante altre, un’estate al mare, gli aperitivi in spiaggia, le chiacchiere, le fotografie al tramonto e il rumore del mare al chiaro di luna. Ma poi arrivano le novità, eccitanti e misteriose come solo i pericoli sanno essere, e Michael non sa resistere. D’altronde è giovane, appassionato, un po’ imprudente. Così ci si butta a capofitto.
E sulla scena irrompono Zina e sua madre, che hanno preso in affitto la foresteria. Per Michael è il colpo di fulmine. Nonostante lo stile asciutto, semplice ma evocativo, “Acqua di mare” è un romanzo amaro, doloroso e profondo. Tutto è al posto giusto. I personaggi, i dialoghi, le descrizioni, i tempi narrativi. Nella sua brevità è un romanzo perfetto, dove ognuno desidera ciò che non può avere, eppure sogna.
Il tema dell’immaginazione inzuppa il racconto come la salsedine impregna l’aria, la sabbia, i capelli e le labbra delle persone. “E chi sogna su una barca a motore? A motore si coltivano ambizioni, non sogni”.
Tanti commenti sono stati sprecati su arzigogolati parallelismi turgeneviani, sulla tematica padre-figlio, ma personalmente non mi appassiona e mi pare l’elemento più debole (e scontato) del libro. Un padre affascinante, bello, predatore. Un figlio che cerca di imitarlo ma è più fragile e pieno di sogni. Accenno soltanto a questo, ma non mi ci soffermo. Guardo e passo.
E infine il mare, l’altro protagonista del libro. Indomabile, selvaggio, a volte amichevole a volte infido, che sembra seguire i moti dell’animo del giovane Michael. Perché l’acqua del titolo è, come riportato in una delle frasi più famose del romanzo, quella salata del mare e delle lacrime: “Credo di aver pianto. Lacrime e acqua di mare hanno lo stesso sapore.”
Ecco, qui è racchiusa già tutta l’intensità di questo romanzo.
Mi ricordavo dell’abile e delicata esplorazione dei misteri del desiderio umano. Leggendo il libro è semplice ed immediato riconoscersi in Michael che – in qualche modo – è ciascuno di noi. E Bone Point diventa il luogo senza coordinate delle nostre estati d’infanzia. Alle labbra riaffiora il gusto agrodolce dell’adolescenza, con le sue incertezze e le sue delusioni. E l’intensità…“Acqua di mare” ne è piena.
Tra nitide immagini cinematografiche e profumi di commedia sofisticata anni ’50, “Acqua di mare” scorre fluidamente di pagina in pagina, cullandoci come su un dondolo di corda nelle sue atmosfere senza tempo. Ma Simmons è anche divertente, insolente, seducente. Tutti i personaggi adulti del romanzo dicono cose argute, divertenti, che ci fanno sorridere, talvolta ci scandalizzano, ci spiazzano, ci fanno piangere. D’altronde, le migliori storie sono sempre le stesse.
Se l’avete dimenticato nel cassetto, prendetelo in mano e apritelo alla prima pagina.
Anna Pietroboni
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