Kidding, o come sdoganare l’ultimo dei tabù

Ognuno di noi ha un proprio punto di rottura, un punto di non ritorno. A rivelarcelo non è la quotidianità, nel suo fluire monotono e banale, ma l’inatteso, la catastrofe alla cui irruzione non siamo mai preparati.

È (anche) di questo che parla Kidding, la nuovissima serie tv del 2018 con Jim Carrey nel ruolo principale e Michel Gondry al timone, una coppia più che collaudata: a 15 anni dalla sua uscita, la patina malinconica di Eternal Sunshine of the Spotless Mind continua a ostentare la propria opacità, uno dei rari film di genere con al centro “la storia” e non gli effetti speciali, e non c’è dubbio che quello del protagonista sia un abito indossabile al meglio solo dall’attore canadese, finalmente tornato a deliziarci con una interpretazione di alto livello.

Costretto alla felicità

La serie tv Kidding (sottotitolo italiano: Il fantastico mondo di Mr. Pickles) ha per protagonista Jeff Piccirillo (alias Mr. Pickles, interpretato da Jim Carrey), un uomo alle prese con un evento traumatico – la morte improvvisa e accidentale di uno dei due figli – che lo costringe a sperimentare il limite estremo della flessibilità umana, dal quale troverà difficile non passare all’autodistruzione. Il contraccolpo che sgretola l’identità del protagonista è la mancata occasione di poter esternare, e così elaborare, il proprio dolore: Mr. Pickles è l’uomo buono, è il più famoso personaggio americano degli spettacoli per bambini, è colui che “non usa una parola brutta quando può usarne una bella”, è l’uomo immagine di un marchio milionario, il cantastorie di un mondo fantastico abitato da pupazzi. Mr. Pickles è costretto alla felicità.

La debolezza odora di fallimento

Le dieci puntate di questa prima stagione mostrano come un personaggio pubblico tenti di sdoganare uno dei massimi tabù della cultura occidentale – il diritto all’infelicità e al lutto – parlandone sinceramente ai bambini, spiegandogli che cosa accade quando una parte di loro si perde durante il cammino della vita.

«Hai mai dovuto fare un trasloco? Può essere un momento difficile, vero? A volte puoi fare una scatola di doni: raccogli tutti i giochi che ormai non usi più e li regali ai bambini che invece li useranno. Ma che cosa succede se arrivi nella nuova casa e ti accorgi che il tuo peluche preferito è sparito? Come ti sentiresti. Saresti triste, perché non hai potuto dirgli addio o saresti sereno perché è in una nuova casa, a ridere, giocare e rendere sereni altri bambini?»

Ma Mr. Pickles è prima di tutto un brand, non un essere umano, e i produttori del programma (a capo dei quali c’è suo padre) bloccano ogni suo sforzo di affrontare la perdita col pubblico dei piccoli, e giungono addirittura a prendere in considerazione l’idea di sostituirlo utilizzando un pupazzo con le sue sembianze. Per loro non è tollerabile l’idea che il Jeff che va in scena a telecamere spente possa avere un crollo emotivo: nella nostra società della prestazione il dolore è sintomo di malfunzionamento, la debolezza odora di fallimento.

Sgretolare la propria identità

Dover mandare avanti il programma, sentendosi ogni giorno più imprigionato all’interno del personaggio che interpreta, accende in Jeff una lotta intestina che lo porta a sgretolare la propria identità – chi è quell’uomo allo specchio: Jeff Piccirillo? Mr. Pickles? Il pupazzo di Mr. Pickles? – a partire dalle relazioni con chi gli sta accanto.

Non è più un marito: la moglie lo allontana, esasperata dall’avere accanto un uomo incapace di arrabbiarsi e maledire il destino, un uomo che è sempre e comunque il Mr. Pickles “di tutti” e che involontariamente la fa sentire sempre in difetto.

«Vicino a te io sono la cattiva. I telegrammi di condoglianze erano tutti indirizzati a te. Tu sei Babbo Natale, io sono la Signora Natale. Babbo Natale porta felicità, la Signora Natale porta solo il mangime alle renne.»

Non è più un padre: il figlio adolescente non trova in Jeff una persona con cui confidarsi ma un “pappamolla”, un adulto che dice sempre le parole giuste senza però ascoltare i tormenti che affliggono il ragazzo.

Non è più un fratello: Deirdre, sua sorella, è anche la creatrice dei pupazzi dello show, e insieme al padre ne realizza uno con le fattezze del fratello nell’eventualità che Jeff non sia più in grado di proseguire il programma, rivelando così l’impossibilità di comunicazione familiare.

Non è più un figlio: suo padre è il primo a trattarlo come un pupazzo; anche nei momenti in cui i due sembrano intendersi rimane la sensazione che il loro sia un dialogo superficiale, un saluto senza abbracci.

Kintsugi

Ogni passo verso la distruzione del personaggio pubblico è un passo verso la salvezza di Jeff; qui Kidding stimola a considerare la differenza culturale tra occidente e oriente in riferimento al dolore, concentrando il tutto con una puntata – “Kintsugi” – che si focalizza su quanto le cicatrici, fisiche o psicologiche, vengano da alcuni nascoste con vergogna e da altri esibite in quanto simbolo di guarigione. Ed è l’esibizione della propria miseria l’obbiettivo di Jeff: il lutto lo costringe a rivalutare le scelte effettuate fino a quel momento, a espiare chiedendo scusa al proprio pubblico (i bambini, l’esercito che gli è sempre più fedele) mettendoli in guardia sulla possibilità che loro stessi siano imprigionati in una finzione che li rende “personaggi-pupazzi”, parte di un programma prestabilito: in questo senso, il discorso in diretta nazionale durante l’illuminazione dell’albero di Natale è il momento più alto della serie.

All’iniziale rifiuto della sua identità sotto forma di pupazzo, segue da parte di Jeff la consapevolezza che la sua espiazione può e deve passare attraverso il suo pupazzo: le parole che il Jeff-giocattolo pronuncia tirando la cordicella sono «Ti ascolto», due parole che Jeff si è reso conto di non aver mai riservato al figlio defunto, impegnato com’era ad essere ogni minuto della sua esistenza “Mr. Pickles, il padre di tutti” (e quindi il padre di nessuno).

Ognuno di noi ha un proprio punto di rottura, dunque: quello di Mr. Pickles lo porterà – almeno questa è la speranza che cresce puntata dopo puntata, verso un personaggio degno di interesse nelle sue svariate sfaccettature – a ricostruirsi una personalità in grado di sfoggiare la più fiera delle cicatrici.

Luca Pegoraro

 

Luca Pegoraro

Editor e ideatore della linea editoriale Jeet Write Do. In attesa della frase perduta e di dare il la alla Ballata della Rivoluzione letteraria, gratto la superficie delle parole. Email: lucaskywriter@gmail.com

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