Ha un titolo immaginifico, la raccolta di racconti di Georgi Gospodinov, considerato il più importante scrittore bulgaro. Un titolo che ci riporta necessariamente a diverse associazioni, letterarie o meno.
Diventare luna. Cosa può significare? Ce lo chiediamo prima ancora di aprire il libro, e ce lo chiediamo fino alla fine, perché il racconto eponimo è l’ultimo dei diciannove. È la domanda che ci assilla e che cerchiamo di nascondere mentre Gospodinov ci sorprende, ci colpisce con le sue idee e la sua malinconia.
La luna è il luogo del sogno, la patrona dell’amore. È il luogo, in Ariosto, in cui finisce tutto ciò che abbiamo perduto. E in E tutto divenne luna, è proprio questo. È il luogo in cui finisce chi non c’è più. È il luogo, insomma, in cui siamo quando siamo assenti dal mondo.
Ed è questa la parola chiave per comprendere l’intera raccolta. Gospodinov ha scritto diciannove racconti sull’assenza.
Nell’attimo in cui cominci a leggere questo testo il sole potrebbe già essersi arrestato, ma tu ancora non lo sai. Ti sono concessi 8 interi minuti e 19 secondi prima che la notizia della sua morte ti raggiunga. È il tempo che la luce impiega per arrivare di là fino a te. Poi diventerà oscuro. Finora sono trascorsi 9 secondi. Cosa puoi fare?
[8 minuti e 19 secondi, in E tutto divenne luna, G. Gospodinov, Voland, 2018, p.7]
Assenza e rifunzionalizzazione di quell’assenza. È in questo binomio che si sviluppano i racconti di E tutto divenne luna. Lo stesso avviene – ad esempio – nel racconto Davanti all’hotel “Bulgaria”, o Adottarsi un padre. Sono tutti protagonisti a cui manca qualcosa e che non possono far altro che cercare di colmare quel vuoto che li divora dall’interno.
Il racconto natalizio Oh, Henry!, ricolmo di citazioni letterarie, è forse l’esempio migliore di questo gioco tematico. Perché comincia con l’assenza di una storia, e la ricerca di questa storia mancante porta a interfacciarsi con altre assenze. I sensi – il personaggio muto? Forse anche cieco! –, poi l’assenza stessa del personaggio, e lo scambio di assenze dal vago sapore calviniano (qualcuno ricorda: L’avventura di un automobilista?). Ogni volta, a ogni nuovo elemento mancante, il narratore rifunzionalizza quello precedente, e il mondo si va definendo come un continuo flusso di assenze individuali, che riguardano forse esclusivamente la percezione che abbiamo del mondo e di noi stessi.
È un mondo in divenire, per adesso. Finora tutto sta ancora diventando luna.
Il libro contiene però anche un sotto-ciclo di racconti, legati da una tematica specifica: la fine del mondo. Ne fanno parte 8 minuti e 19 secondi, citato in precedenza, Incontro con una floreale, I volti degli ultimi giorni, Six degrees of separation e l’eponimo E tutto divenne luna.
L’apocalisse è un pretesto narrativo che Gospodinov sfrutta al meglio proprio per indicare con il dito al lettore ciò che manca, di volta in volta. E forse fra i più riusciti – al di là del racconto incipitario, che è forse il migliore della raccolta – è I volti degli ultimi giorni, in cui ci viene presentata una carrellata di personaggi, di brevi quadretti, che via via diventano più strani, surreali, come a mostrare che alla fine del mondo a chi importa della normalità, ciò conta davvero è la tensione verso il basso, il punto di minimo rappresentato da quel pezzo mancante. Ed è quel pezzo a definire chi siamo.
Ed è allora, con la fine del mondo, che tutto può diventare luna. Quando l’assenza non è più una parte di noi, ma noi stessi. Quando Astolfo, vagando sulla superficie lunare per cercare il senno di Orlando, è in realtà nel più grande cimitero di sempre. E se pensassimo che, in fondo, l’apocalisse è lontana, se pensassimo che tutto non è ancora luna, che c’è tempo, che dovranno passare ancora troppi giorni, allora forse non guardiamo le cose con la giusta prospettiva:
Non avete capito, fessacchiotti, che ogni tramonto è una parabola dell’Apocalisse?
[8 minuti e 19 secondi, cit., p.11].
Maurizio Vicedomini
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