Olalla, il gioiello dimenticato di Stevenson

Chi dice che l’abito non fa in monaco o, come in questo caso, che non si giudica un libro dalla copertina? Non per remare contro antichi proverbi, ma occorre una piccola smentita.

È pur vero che romanzi meravigliosi si celano dietro grossolani errori editoriali di confezione, ma ci sono casi in cui a guidarci verso la scelta del prossimo libro da leggere sia proprio quell’involucro esterno, insomma: una superflua e banale questione di estetica.

Ecco come ho conosciuto la casa editrice Passigli. Nel marasma di proposte dei piccoli editori indipendenti, un progetto grafico armonioso e originale e una scelta di titoli inconsueta hanno fatto la differenza. Mi sono imbattuta nei libri di Passigli in fiera, il loro stand era come un espositore di carte da parati di epoca vittoriana; faceva venire voglia di sedersi lì con loro a bere una tazza di tè! Così chiacchierando e sfogliando scopro che «Le occasioni», collana portante della casa editrice, ha come obiettivo quello di riportare alla luce opere minori di grandi autori dell’Ottocento e del Novecento: da Javier Marìas a Rainer Maria Rilke, da Charles Dickens a Nina Berberova, da Mario Vargas Llosa a Robert Louis Stevenson, da Joseph Roth a Virginia Woolf.

Un’idea interessante e confezionata ad arte. Potevo andar via a mani vuote? Certo che no.

Chi è Olalla?

Olalla è un racconto di Robert Louis Stevenson, che condensa in un centinaio di pagine storia, amore, misticismo, tradizione, orrore e follia.

In un’epoca imprecisata che potrebbe corrispondere agli anni immediatamente successivi alla Guerra d’Indipendenza Spagnola (1808-1814), un soldato ferito viene esortato dal suo medico a trascorrere un periodo di riabilitazione nella Residencia di una Señora, vedova e madre di due giovani, Olalla e Felipe. L’unica condizione imposta dalla famiglia in cambio dell’ospitalità è che nessun legame personale sia mai intrecciato tra i proprietari di casa e l’ospite.

I primi giorni nella Residencia trascorrono serenamente. La Señora passa le sue giornate placidamente addormentata al sole. Di Olalla non si ha nessuna traccia. Felipe è l’unico a occuparsi dell’ospite, ma il protagonista si accorge subito che il ragazzo ha qualcosa che non va: alla poca intelligenza si aggiungono strane e imprevedibili reazioni animalesche. A far imbestialire Felipe sono soprattutto i riferimenti alla madre e alla sorella… ma perché?

La notte in cui il soldato viene svegliato da urla bestiali e scopre di essere stato chiuso a chiave in camera sua dall’esterno, i sospetti di essere in una casa indemoniata iniziano a infittirsi. A chi appartengono quelle urla? E perché non ha ancora mai incontrato Olalla?

La genesi e il sogno

Il racconto di Stevenson è un piccolo gioiello dimenticato, che si nutre di una silenziosa e inaspettata malvagità. A far luce sulla genesi dell’opera è un saggio di Stevenson del 1888, A chapter on dreams, in cui l’autore racconta di aver scritto Olalla sotto l’influenza di visioni oniriche. In particolare il racconto fu ispirato da un sogno in cui gli apparve un cane: la bestiola, apparentemente mansueta, dopo una folata di vento si trasformò in un belva feroce pronta a divorarlo.

Un mistero, una storia d’amore, il folklore e l’amore per le leggende dai risvolti oscuri della tradizione spagnola. Nulla in questo racconto è lasciato al caso, e tutto fa venir voglia di sapere come andrà a finire.

Anna Fusari

Fa tante cose diverse, ma principalmente le piace leggere libri e dire la sua. Ha studiato Lettere Moderne a Napoli e Filologia Moderna tra Padova e Grenoble; ha lavorato in Francia come insegnante di Italiano e come responsabile della comunicazione in un’associazione culturale. Ha fatto un Master in Editoria alla Sapienza e uno stage al Battello a Vapore. Continua a collaborare con alcune case editrici italiane specializzate in letteratura per infanzia e ragazzi (Giunti e Gribaudo) e fa altri lavori che in parte la rispecchiano e in parte no, ma le permettono di fare quello che le pare nel resto del tempo.

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