Come ogni Eden. Gabbie e abbandoni ne Il confine del Paradiso

Ognuno vede ciò che sa, o almeno così recita un vecchio proverbio.

Questo è vero tanto per me, che ho affrontato Il confine del paradiso di Esmé Weijun Wang (Lindau, 2018) con un taglio trasversale e tutto personale, e vale anche per i personaggi del romanzo, che diventano passo dopo passo incatenati alla realtà che vivono e che hanno sempre affrontato.

Le nostre prigioni

Ma è vero o no che il mondo è pieno di pericoli? Non può dirmi che non è vero.
[Il confine del paradiso, E. Weijun Wang, Lindau, 2018, p.365]

A conti fatti, completata la lettura del romanzo, resta una sensazione preponderante: è stata tutta questione di prigioni. Non prigioni fisiche – non solo, per lo meno – ma le prigioni che noi stessi o chi ci ama ci costruisce attorno, le cupole di vetro reali e psicologiche. Ciò che sappiamo del mondo limita la nostra libertà. Il modo in cui viviamo può limitare la nostra comprensione dell’altro, dell’estraneo, del ragazzo che ci dà a parlare su un treno, giusto per far passare prima le noiose ore del viaggio.

Il confine del paradiso, allora, è proprio questo: un paradiso delimitato entro cui tutto va bene, perché tutto funziona secondo regole specifiche autoindotte; un paradiso in cui non è ammessa ingerenza esterna. Un paradiso che è isolamento.

Cosa accade quando l’ingerenza arriva? Cosa accade quando la soglia immaginaria viene varcata – da una parte o dall’altra – e quando gli equilibri vengono incrinati?

Ecco, il romanzo di Esmé Wijun Wang prova a rispondere proprio a questo. E lo fa con una sensibilità imponente, e al contempo con un forte senso di naturalezza. Se vogliamo, biblica: la narrazione contemporanea dell’estromissione dall’eden.

Relazioni

Non ho mai conosciuto nessuno che si sia suicidato, e quindi non ho mai visto una lettera d’addio, anche perché di solito le ultime parole delle anime neglette che decidono di condannarsi vengono conservate in privato. Malgrado ciò, non riesco a non pensare che queste lettere debbano essere tutte molto simili, perché cos’altro si può dire se non continuare a ripetere Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, nello stesso modo in cui chi si innamora riesce a dire solo Ti amo, ti amo, ti amo.
[Il confine del paradiso, Cit., p.13]

Uscendo dalle tematiche e entrando più nel dettaglio, Il confine del paradiso è un romanzo familiare, che abbraccia la vita di David Novak, sua moglie, i suoi due figli, e altri due personaggi. Sei in tutto, e alle loro voci sono affidate – di macro-capitolo in macro-capitolo – le vicende che si susseguono in un arco temporale di trentasette anni.

Lo abbiamo detto dalle premesse: qualcosa andrà storto. È inevitabile: nessun paradiso resta tale per sempre, finché ci sono dentro gli esseri umani. Ma forse – ed è anche questa una lettura biblica – qualcosa è sempre andato storto. Il problema, il dramma, ciò che fa perdere il paradiso, non è del tutto – non del tutto, certo – proveniente dall’esterno. Il problema, il dramma, forse è sempre stato dentro di noi.

David, allora, che fin dalle prime pagine si mostra come un uomo disturbato, un uomo che per tutta la vita ha affrontato una lotta contro se stesso, è l’Adamo che non riesce a non cogliere la mela, non può farne a meno, perché quella mela l’ha desiderata da sempre. Lo stesso vale per William, suo figlio, degno Adamo anche lui. E lo stesso può valere per Marty, uno degli altri personaggi. I maschi, in questo romanzo, sono caratterizzati dal desiderio e dalla necessità di appagarlo.

Le tre donne, invece, sono caratterizzate dal desiderio irrealizzabile. Ed è in questo contrasto fra l’uomo che può e la donna che non riesce a ottenere ciò che vuole, è in questo rapporto distorto che si sviluppano le vicende di questo romanzo. Una storia che è speranza ed errori. Una storia che è una storia quanto mai umana.

Aveva voluto farmi vedere il villaggio delle lucciole prima della partenza per New York, fissata per il giorno successivo. Era importante, disse, che vedessi la cosa più bella del suo paese prima di lasciarlo[…]. Nel frattempo stavo ancora cercando di pensare a un nome americano che le si addicesse. Pensai che qualcosa di floreale sarebbe stato adatto.
Una scintilla. Un luccichio. «Vedi» disse Jia-Hui mentre il mondo si illuminava attorno a noi, «tante, tante lucciole».
Amen.
[Il confine del paradiso, Cit., p.163]

Maurizio Vicedomini

Maurizio Vicedomini è capoeditor per la Marotta&Cafiero editori. Ha acquistato diritti di pubblicazione in tutto il mondo ed è pioniere nello sviluppo di nuove forme di impaginazione libraria in Italia. Ha fondato la rivista culturale Grado Zero, sulle cui pagine sono apparsi racconti di grandi autori italiani e internazionali. È autore di libri di narrativa e critica letteraria. Collabora con la Scugnizzeria, la prima libreria di Scampia.

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