Il Far West metafisico dei fratelli Coen
Con The ballad of Buster Scruggs (2018), i fratelli Ethan e Joel Coen propongono un film in sei episodi ambientato nel Far West, nel quale affrontano i temi della vita e della morte, e della possibilità di trovarvi un senso.
Così come nella letteratura, The ballad non dichiara verità ma bisbiglia suggerimenti di interpretazione: il genio dei Coen si rivela sotto forma di lievi spinte che portano lo spettatore nell’occhio del ciclone narrativo.
L’occhio del ciclone
Meritevole di una analisi approfondita è l’ultimo episodio, nel quale la morte è protagonista invisibile ma onnipresente. Mentre i primi cinque episodi mettono in scena un’avventura e si concludono con la morte fisica di un personaggio, in The Mortal Remains (questo è il titolo dell’ultimo episodio) i discorsi dei personaggi ruotano attorno alla cosa più importante nella vita: l’amore. Il tutto avviene mentre costoro prendono coscienza di non appartenere più al mondo dei vivi.
L’episodio si svolge per buona parte all’interno di una diligenza che trasporta sul tettuccio un cadavere e che non si fermerà fino alla destinazione. Il cocchiere è una figura sfuggente e senza volto.
I personaggi che osserviamo sono cinque: un cacciatore di pellicce, una donna pia, un giocatore d’azzardo e due cacciatori di taglie. Proprio i cacciatori di taglie sono i proprietari del cadavere: il loro è un continuo andirivieni dal luogo in cui tutti i protagonisti sono diretti, per portarci corpi di persone che conoscono “solo alla fine”.
L’episodio si divide in due parti, nominabili come Visione e Consapevolezza.
Incomunicabilità
Durante la fase “Visione”, quando ancora il sole sta per tramontare e gli ultimi raggi allontanano le ombre della morte, i tre personaggi in viaggio per la prima volta verso Fort Morgan discutono sulla natura umana, sull’amore e su come poter classificare le persone.
Il primo a esprimersi è il cacciatore, avvezzo alla vita nei boschi: per lui la vita è una lotta, una routine (cacciare per nutrirsi, dormire per recuperare energie). Cionondimeno, per anni ha avuto in sposa una indigena, donna con la quale ha instaurato un rapporto basato sull’incomunicabilità.
Un rapporto paradossale, un rapporto che rapporto non è proprio per via dell’incomunicabilità reciproca, ma che per lui era soddisfacente.
«Lei non sapeva la mia lingua e io non avevo scuola sul farfuglio dei nativi.» Alla domanda diretta «L’amavate?», la risposta è netta: «La natura della sua intonazione della voce e le espressioni della sua faccia mi ha aiutato a capire che le persone sono tutte uguali, come i castori, l’una vale l’altra.» Questa sentenza genera altri dibattiti: la donna, che stringe in grembo la Bibbia, sostiene con fervore che le persone sono da distinguere in oneste o peccatrici. Il giocatore invece si sofferma sulla mutevolezza di tutto quanto e di come le persone non si possono mai conoscere a fondo. «Ognuno gioca la propria mano. Non possiamo conoscerci intimamente. Le carte insegnano i rischi della vita, la probabilità. E prima di prendere una decisione, è bene guardarsi attorno e valutare i rischi e le possibilità che possono nascere o morire da una scelta».
Nel frattempo il sole tramonta, e il crepuscolo avvolge i personaggi che cadono nel greve silenzio della Consapevolezza. Nel cambio di luce le espressioni dei tre protagonisti sembrano formare una unica domanda: Siamo vivi?
Distrarre e colpire
La seconda parte inizia con una ballata ferale accennata da uno dei due cacciatori di taglie: avvicinandosi alla fine del tragitto i tre personaggi non discutono più sul senso della vita o sull’amore ma sulla mansione del duo.
I cacciatori di taglie, che tengono ad autodefinirsi eufemisticamente “mietitori di anime”, spiegano in che modo agiscono: il primo racconta una storia e distrae lo spettatore, il secondo colpisce.
Mentre i cacciatori di taglie spiegano cosa accade alle vittime designate poco prima di essere uccise, i tre passeggeri della diligenza scoprono di trovarsi loro stessi nella medesima condizione delle vittime.
«La gente è sempre molto curiosa, come i bambini, perché collegano le storie con se stessi. Tutti amano sentir parlare di se stessi immedesimandosi nei personaggi, i quali tuttavia non ci rappresentano, specialmente nel finale.»
Insomma: i mietitori di anime rappresentano due virtù indispensabili per lo scrittore abile.
L’atmosfera si carica progressivamente di tensione: il mietitore prosegue spiegando il piacere che prova nel guardare le vittime mentre cercano di capire come sarà il tragitto verso l’aldilà.
I tre personaggi ascoltano, silenziosi, finché uno ha il coraggio di chiedere: “E sapete se mai ci riescono?”
Il mietitore fissa a lungo i tre: «Non posso saperlo. Sono uno spettatore.»
Scelte
La diligenza giunge alla destinazione: un hotel che suggerisco di interpretare come un centro di smistamento delle anime. Il portone di ingresso reca le immagini di un angelo e un demone; l’interno, silenzioso, si presenta con una scalinata abbagliante al centro e sui lati stanze immerse nella penombra. Mentre i due cacciatori recuperano il cadavere e lo trascinano in cima alla scalinata, il trio rimane indeciso sul da farsi, spaventato da ciò che attenderà ciascuno di loro al di là del portone, come se le grandi o piccole certezze che hanno dato equilibrio alle loro esistenze si fossero rivelate inconsistenti in prossimità della fine.
È dunque il momento della scelta, e la scena si conclude con il giocatore – il più avvezzo dei tre a ponderare rischi e opportunità – che per ultimo si sofferma sulla soglia, prima di chiudere definitivamente il portone.
Rien ne va plus, les jeux sont faits.
Wanted
The ballad of Buster Scruggs accompagna lo spettatore – perché ogni vita ha una ballata di riferimento – fino all’orlo sull’abisso dell’Ignoto, dove ogni scelta si trasforma inevitabilmente in un ‘devo’, e lo fa mostrando le bellezze disseminate durante quel percorso metafisico che è il nostro intimo e quotidiano Far West.
Siamo tutti cacciatori di taglie, le nostre.
Luca Pegoraro