Non abbiate fretta di etichettare queste storie come di fantasia. Cosa ne possiamo sapere, in fondo, dell’opinione che hanno di noi le balene? E vi siete mai soffermati a riflettere su quali possano essere gli schemi di pensiero delle aragoste?
[L. Crescentini, Prefazione in Strane creature, Vol 1., Watson, p.2]
Considera l’aragosta, scriveva David Foster Wallace, in tutt’altro frangente. E consideriamoli, allora, questi animali. Consideriamo realtà e fantasia come campi coesistenti e comunicanti. Consideriamo che un animale è di fantasia soltanto finché non ce lo troviamo davanti, finché non ne attestiamo la concreta esistenza all’interno dell’insieme di variabili che definiamo “esistenza”.
Strane creature è il primo volume di una raccolta di storie zoologiche che si rifanno a creature mitologiche, fantastiche o del tutto nuove (ma comunque basate sulla successione combinatoria di elementi visti altrove: la creazione umana, d’altronde, funziona in questo modo).
Borges scriveva nel 1957 un volume chiamato Manuale di zoologia fantastica (confluito poi in Il libro degli esseri immaginari). Faceva un’operazione particolare, un’operazione che sembra prendere spunto dai bestiari medievali e di epoca greco-romana, prima ancora.
Con modalità e scopi diversi, la raccolta delle Strane creature sembra posizionarsi su quella stessa linea, e lo fa con una libertà compositiva ampia – una libertà che forse è dovuta allo statuto stesso di antologia – di stile e generi, di toni, di messaggi.
Abbiamo un racconto come Axolotl: un giallo, una creatura realmente esistente (nel mondo di riferimento), e non una reminiscenza fantastica. Una vicenda adrenalinica, un complotto. Il che è particolarmente evidente perché lo leggiamo dopo L’amore salato di Giovanna Repetto, un racconto tutto sommato sulla linea della narrativa romantica.
Questo salto fra i generi e i toni dovrebbe tramortire, dovrebbe anche indisporre. Invece ha il potere di mettere in una condizione di naturalezza la presenza delle creature nel mondo. Insomma: non sono bestie che esistono solo in un’ottica specifica, ma in ogni ottica. E questo dà complessità e spessore alla raccolta. È un paradosso, se vogliamo: la disomogeneità dei racconti rende più coesa l’antologia stessa.
Un forte gioco di chiaroscuri si presenta in racconti come quello di Emanuela Valentini, Il liocorno Jupiter, che già dal titolo ci suggerisce un qualcosa che ha a che fare con l’infanzia, con la leggerezza. Difficile immaginare un liocorno di nome Jupiter che fa strage per le strade di Roma. E con questo racconto si apre una seconda dimensione del libro, in cui la creatura non è solo fuori, ma anche dentro. Una duplice dimensione che si affianca alla dicotomia già presente fra realtà e fantasia.
Sebbene la raccolta curata da Lorenzo Crescentini abbia un focus specifico sull’oggetto della narrazione – gli animali fantastici – essi restano oggetto, un oggetto che è contrapposto al soggetto che lo osserva, che tenta di proteggerlo, di distruggerlo, di amarlo, di sfuggirgli. Un oggetto, quindi che è sottoposto a interpretazione da almeno due livelli, quello del protagonista e quello del lettore.
A margine – non per importanza minore, ma per il filo del discorso seguito finora – va segnalata la presenza di illustrazioni, a firma di Marzio Mereggia, per ogni racconto, per ogni creatura. In un’antologia già impreziosita, fra le altre cose, dalla presenza di autori internazionali come Joe Hill e Rich Larson.
Maurizio Vicedomini
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