Lucio aprì gli occhi. Si era svegliato con la sensazione di aver sognato qualcosa di tremendo, folle, ma non ricordava cosa fosse. Giaceva supino, la schiena affossata nel materasso e le mani giunte sul ventre a coprire l’ombelico. Faceva freddo. La luce della luna entrava dalla finestra. Maria l’aveva lasciata aperta ancora una volta. Dormiva accanto a lui, stesa sul fianco. Lucio ruotò la testa quel poco che bastava per riuscire a guardarla: abitava serena quel suo sonno, spensierata. Teneva le mani unite tra la guancia e il cuscino come una bambina e respirava profondamente. Nella penombra, Lucio l’aveva sempre sostenuto, ricordava moltissimo Rebecca, la vecchia amante. Rebecca; gli zigomi alti, le labbra carnose, i lineamenti dell’est.
Rebecca era bellissima. Eppure, oltre alla bellezza, non era mai riuscito a capire cosa avesse di così travolgente, di così unico da averlo folgorato a tal punto che la vedeva anche sul volto di Maria. Alla luce del giorno la somiglianza quasi non si manifestava, ma di notte s’insinuava come una ladra sul viso di Maria e giocava brutti scherzi alla mente di Lucio. La notte era terribile, non c’era via di fuga. Rebecca se n’era andata da anni, e Lucio non si era mai abituato alla sua assenza. Forse, era arrivato a pensare, aveva scelto Maria solo perché le somigliava.
Fuori dalla finestra, i freni del tram notturno che attraversa Trastevere striderono e lui contrasse le dita, ancora giunte sul ventre. Maria non fece una piega. Stava lì nella sua espressione beata. Lei. Lui era sveglio, come sempre.
Tempo al tempo, si era detto, la dimenticherò. Invece ora giaceva sul letto di un’altra, di una copia venuta male di lei, senza riuscire a riprendere sonno. Gli occhi sbarrati, Lucio, a fissare il soffitto chiedendosi cosa ci stesse facendo lì. Era tutta colpa sua, in fondo. Di Rebecca. Si trovava sveglio, su quel letto, perché lei lo aveva abbandonato. Tutto ciò che faccio, tutto ciò che sono, pensava, è stato causato da te. Era una trappola, si trovava bloccato nel suo presente e soffocava. Soffocava.
Maria gli aveva detto di amarlo, quello stesso giorno. Lucio non aveva risposto. Aveva pensato: se inizio ad amarla, potrò continuare ad amare Rebecca attraverso lei. Ma era così sicuro di voler amare Rebecca dopo tutto quel tempo, dopo tutto quel dolore? Lui non lo sapeva, sapeva soltanto che era ancora sveglio senza poter fuggire dalla sua memoria.
Si stava chiedendo: esiste un modo per disfarmi del suo ricordo? Forse no.
Eppure.
Eppure, se stando con lei, almeno di notte, immaginava di stare con Rebecca, allora forse… Un altro stridio del tram sui binari, poi il cinguettio di un uccellino. Lucio sapeva che gli uccelli portano l’alba con sé. L’alba.
Si voltò verso Maria. O forse era Rebecca. Le carezzò una guancia con il dorso della mano e la osservò respirare per qualche secondo.
Sollevò la schiena dal materasso, espirò. Prese il cuscino, sul quale era ancora stampata l’impronta del suo cranio e lo poggiò dolcemente sul viso di Maria, si sedette su di lei bloccandole i fianchi con le ginocchia e premette, premette il cuscino con tutta la forza che aveva in corpo e una lacrima gli scese dall’occhio sinistro; un ghigno nervoso si dipinse sul suo volto mentre premeva forte, e pensava scusami ti prego scusami ma è l’unico modo che ho per dimenticarti, e Rebecca prese ad agitarsi sotto di lui senza riuscire a divincolarsi; un dolore cresceva in lui dallo stomaco, saliva lungo la gola e sfociava in un urlo disperato mentre piangeva e scopriva i denti, e Rebecca si agitava e cercava di dire qualcosa di confuso e forse, forse era meglio così, perché Lucio non voleva sentirlo e aveva paura di capirlo, perché non voleva fermarsi ed era convinto di stare facendo la cosa giusta con Maria o Rebecca, poco importava adesso; lui chiedeva scusa, perché quella era l’unica via per liberarsi di quel dolore e abbattere le mura che lo bloccavano, così come lui bloccava il corpo di lei, che ora si faceva meno agitato e anzi si stava placando sempre di più, sempre più calmo, tranquillo e rilassato, sembrava, e il grido di Lucio si affievolì, scese, fino a diventare un sussurro, un respiro, un soffio. E venne l’alba a Roma.
Lucio aprì gli occhi. Si era svegliato con la sensazione d’aver sognato qualcosa di tremendo, folle, ma non ricordava cosa fosse. Giaceva supino, la schiena affossata nel materasso e le mani giunte sul ventre a coprire l’ombelico. Faceva freddo. La luce della luna entrava dalla finestra. Maria l’aveva lasciata aperta ancora una volta. Era stesa accanto a lui. Lucio ruotò la testa quel poco che bastava per riuscire a guardarla. Nella penombra, Lucio l’aveva sempre sostenuto, ricordava moltissimo Rebecca, la sua vecchia amante. Rebecca.
Jacopo Milani
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