Con La canzone del riformatorio (brano presente nel disco Sussidiario illustrato della giovinezza, 2000) i Baustelle raccontando la bellezza intrinseca presente nelle azioni di un ragazzo che compie il male, la violenza.
Una delle sfide nella letteratura è di mostrare ai lettori cosa si cela dietro un gesto violento.
Mettere in scena situazioni morbose o personaggi diabolici risulta secondario, ai fini della ricerca: a intrigare è il sottotesto, la motivazione, la ricerca del senso.
Per non inquinare il personaggio con le proprie idee, lo scrittore deve annullarsi durante la stesura dell’opera, anche a rischio di non essere inizialmente compreso dal lettore – o da una lettura superficiale.
La complessità nell’affrontare tematiche eticamente scomode è quindi speculare: lo scrittore può cedere alla paura di essere frainteso e confuso col pensiero del personaggio, il lettore può non discernere autore e protagonista, finendo col boicottare le opere successive.
Senza dubbio la ricerca dell’origine del male è un rischio meritevole di essere affrontato, dato che rappresenta uno dei luoghi più attrattivi sia nell’arte sia nella vita.
I Baustelle propongono la vicenda di un personaggio ossessionato dai sorrisi “senza pietà” della solare Virginia. Il tormento d’amore lo costringe a usare il coltello su di lei, relegandolo a sei anni di prigionia. Il testo preme sulla fragilità del protagonista, che durante le notti in riformatorio ricorda le grida e le cosce bianche di lei e nel contempo si dispera per quanto sia doloroso immaginarla attorniato dalle “donnine pornografiche appese dagli altri custoditi qui con me”. Il dolore e la paura del protagonista risiedono nella mancanza di certezze su come saranno le loro vite quando lascerà il riformatorio. Per lui, entrambi sono vittime: “Le vite perdute come gioia passata per sempre come moda: cos’è che ci rende prigionieri?”.
Il male si compie nel tentativo di liberarla dalla prigione della vita: non averlo realizzato appieno è motivo di dolore.
La bravura dei Baustelle risiede nel far percepire le palpitazioni d’amore che pervadono l’assalitore mentre affonda “dolcemente” il coltello.
La difficoltà che attende lo scrittore – SE consapevole – quando decide di trattare un personaggio amorale si ritrova nel dover descrivere come in alcuni casi la violenza non è semplicemente frammentare una forma nel caos, ma creare il caos per raggiungere un nuovo equilibrio, un miglioramento, una bellezza suprema e totale.
Attraverso un personaggio deviato si può dimostrare come il male può divenire strumento dell’estetica, utilizzato al fine di raggiungere la purezza.
Mostrare attraverso la creazione di un’opera letteraria quando la violenza sublima in opera d’arte è uno dei modi per togliere un velo alla danza dell’ipocrisia.
Il male – esplicito o latente – fa indubbiamente parte dell’animo umano. Sta allo scrittore utilizzare parole adatte ad ampliare l’immagine che abbiamo di noi stessi, avvicinandoci per quanto possibile all’indicibile preghiera che alberga in ognuno di noi.
A chi è posseduto dal diavolo, dirò nell’orecchio queste parole: «È meglio che il tuo demonio cresca in te! Così anche per te ci sarà una via alla grandezza!»
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Parte prima: Dei pietosi)
Luca Pegoraro
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