Racconto: Ho sognato di trovarti su una spiaggia, a oriente da questa casa… – Antonio Esposito
Questa spiaggia è già da qualche parte nella realtà. Lontana dalle case abitate. E ancor più lontana d’inverno, quando la sabbia stende un velo di sottili grani grigioscuri sulle carcasse dell’estate. È una spiaggia che ho già visto da qualche parte, identica a come adesso mi riempie lo sguardo. Valentina è qui nel mio sogno, proprio come la ricordo, con il naso e le sopracciglia sottili. Indossa una canottiera azzurra e se ne frega del freddo. Calpesta le mie orme sul bagnasciuga ma non vedendole le crede sue. Il mare le cancella prima d’ogni riflessione, le cancella prima che vengano perfettamente riconosciute, le cancella confondendo i nostri sentimenti. Getto gli occhi tutt’intorno chiedendomi se esisto, se sono presente in questo luogo. Possibile che io non esista? Che alcuna parte di me si conservi nella sua memoria? E che non mi veda? Mi passa accanto Valentina, simile a tutte le volte in cui l’ho incontrata. Uguale alla prima e all’ultima volta, con tutte le altre messe insieme. Ha quattordici e trent’anni nel mio sogno. Bella e immobile come in una fotografia di tanti anni fa, quando ancora non sapevo nulla di lei e per scherzo ci ritraemmo felici. Mentre invecchiano i contorni, sfocati e impercettibili alla mia vista, lei resta bella e immobile come in una fotografia di poco tempo fa, quando un sentimento ormai poco solido ci strappava un malinconico sorriso. Ora non mi riconosce: non sa nulla della nostra amicizia poi scomparsa, dell’amore qui riflesso. Possibile che esista un’altra Valentina, a me sconosciuta, non mia, e che sia arrivata fin qui, nel mio sogno? Le chiedo, con tono di supplica, Per quanto ancora devo aspettarti? Mi osserva perplessa. Dice soltanto il mio nome. Davide. Scopro che mi piace nell’inflessione che sa dargli col suo tono di voce. Allunga la A e restringe la I, come un’impacciata carezza notturna, prima calda e poi ritratta nel buio. Vorrei ci fosse qualcun altro ad ascoltare per capire se è vera. Come sei arrivato da me? Mi chiede. Non so rispondere altro che Stavo sognando di passeggiare sulla nostra spiaggia e mi sei venuta in mente, passeggiamo insieme? Le faccio strada disegnando nuove orme, che lei dice ancora sue. E che il mare si impegna a cancellare. Che stupida che sono! Non sei Davide, mi dice. Di Davide sono innamorata, aggiunge, e mi sembra lo faccia con ferocia. Forse non è la mia Valentina, penso. Non quella che conosco io. Probabilmente lei è la Valentina d’un altro Davide. Io sono Davide, chi è il tuo Davide?, chiedo. Il mio Davide svela nel suo nome il nostro legame. I suoi genitori lo chiamarono Davide che deriva dall’ebraico Dawidh, e significa “amato, diletto”, perché io l’incontrassi e l’amassi. E poi è più bello di te. Si allontana così, ancor prima che le sue parole smettano di suonarmi nelle orecchie, ridendo della mia persona, lasciandomi ferito a veder sparire i passi segnati insieme. Ora miei, ora suoi, e senza più alcuna importanza. Si allontana così, lasciandomi ferito, a chiedermi se mi stia amando almeno altrove.
Questo paesaggio continua a somigliare a un paesaggio che ho già visto nella realtà. Quest’orizzonte mi è noto. Le piante dei miei piedi non hanno radici e smettono di segnare orme. La sabbia diventa legno, poi pietra, poi asfalto. E scotta sotto i piedi asciutti. Nel sogno l’asfalto bollente mi porta in una casa a occidente che somiglia alla mia e che non è la mia. Lo capisco perché dentro c’è già Davide. E dorme nel letto di Valentina. Da una finestra la osservo mentre legge ad alta voce una poesia di cui ricordo il testo a memoria ma non ho mai saputo di chi fosse. Il mio sguardo credo le arrivi come il vento dal mare. Lei legge e ogni verso mi suona familiare. Conto le sillabe con le mie labbra. L’accompagno nelle rime. Mi si riempiono gli occhi di lacrime nello scoprire che finalmente sono io a dormirle accanto, cioè che Davide dorme con lei. Anche se nel sonno è irrequieto e si agita fino a svegliarsi. Che cosa sognavi Davide? Sei triste? Chiede Valentina. Ha messo da parte la poesia per ascoltarmi, per prendersi cura di Davide. Ho sognato di trovarti su una spiaggia, a oriente da questa casa, e di passeggiare con te segnando sulla sabbia gli stessi tuoi passi ma tu non mi riconoscevi e mi abbandonavi deridendomi. Allora ti seguivo e ti trovavo a letto con un altro Davide, racconta d’un fiato. Come se avesse preparato quelle parole e recitasse un copione. Valentina l’osserva amorevole, Alzati e abbracciami, gli dice, stringimi le spalle. Gli accarezza la testa tenendo larghe le dita, per affondarle nei capelli. Devi rasserenarti, il tuo era soltanto un sogno, come potrei mai dimenticarti: tu sei Davide, il mio amato. Dovrei sentirmi sollevato per quello che mi dice mentre mi sostiene il capo e mi tiene in grembo ma dall’esterno, al di là della finestra, a queste parole non resisto. Sono facile preda della gelosia. Nonostante i piedi cotti dall’asfalto mi aggrappo alla finestra e dico: Sono venuto alla ricerca di un Davide: sei tu? Davide mi risponde, e solo adesso sembra riprendersi da quello che credeva un incubo, Sei tu, Davide? Allora non era un sogno il mio… La rabbia si dissolve nel suo volto disteso riflesso nel mio. Ci abbracciamo certi di aver risolto il nostro problema. Valentina è lì mia, di Davide. Innamorata di me, di Davide. Non ride di me. Non è amorevole con Davide. Da fuori la mia voce ci chiama: Davide! Noi due ancora avvolti nel nostro abbraccio, e non più risoluti, trasaliamo. Meglio che io vada, mi dice Davide. Torna presto Davide, dice quello alla finestra. Mi sveglio in un bagno di sudore, agitato e confuso. Valentina è accanto a me, sorride mostrando gli incisivi larghi. Mi guarda e chiede, Che cosa sognavi Davide? Sei triste? Le bacio la punta delle dita e dico, Ho sognato di trovarti su una spiaggia, a oriente da questa casa…
Antonio Esposito