Dimenticati nel cassetto: “In tutto c’è stata bellezza” di Manuel Vilas
Questa volta comincerei subito dal titolo. In tutto c’è stata bellezza. In cosa? verrebbe da chiedersi. Che significa quel tutto? Poi mi concentrerei sulla bellezza. C’è stata bellezza, dice Manuel Vilas. E adesso non c’è più? C’è stata bellezza. Non felicità né amore. Bellezza. Ma cosa vuol dire? Forse che – nonostante i dolori, le avversità e la durezza dell’esistenza – se ci fermiamo un attimo a riflettere e a ricordare in silenzio la nostra vita, ci accorgiamo di una cosa. E cioè che in fin dei conti in tutto c’è stata anche bellezza. Io lo interpreto così, questo titolo. Per me significa esattamente questo. Se mi fermo a pensare, se riesco a scacciare i pensieri dolorosi, vedo risorgere la mia vita e mi accorgo che – nonostante tutto – in ogni cosa c’è stata bellezza.
La bellezza salverà il mondo
La bellezza salverà il mondo, diceva il principe Myškin ne L’Idiota di Dostoevskij. In tutto c’è stata bellezza, dice oggi Manuel Vilas. La bellezza, cioè, salverà la nostra vita. Ma che significa?
In un certo qual modo, la rilevanza di queste frasi è ambigua. L’aspirazione all’armonia – che giace, che lo si voglia o meno, dentro ciascuno di noi – si mostra con tutta la sua carica di vitalità ma anche di disperazione dietro a queste parole. Nonostante tutto, intendo, c’è stata anche bellezza e questa bellezza ci salverà. Perché il Bene e il Bello non sono la stessa cosa, pur essendo intrecciati tra loro con fili misteriosi. Il Bene è cosa rara, inafferrabile, merce preziosa. Il Bello invece possiamo vederlo, toccarlo, raggiungerlo. E dunque, anche se non abbiamo trovato il Bene nella nostra vita, anche se siamo stati costretti a confrontarci con le delusioni, il dolore e la rabbia, se ci fermiamo un momento e guardiamo con maggior distacco ogni cosa, possiamo riuscire a scorgerci anche del Bello.
Anche la tragedia è bella, se ci pensiamo. Anche le lacrime e il pianto sono belli. Ed ecco che quindi la bellezza – se lo vogliamo – si fa riconoscere dietro alle cose di tutti i giorni. È qui, a portata di mano. Se riusciamo a vederla, basta cercarla. Se non ci riusciamo, dobbiamo lasciarci trasportare dall’occhio o dalle parole di chi ci è riuscito prima di noi. Come Manuel Vilas.
Esperienza individuale o collettiva?
In una sorta di versione asciutta e disperata di Annie Ernaux, In tutto c’è stata bellezza ci racconta la Spagna del Novecento con una capacità linguistica fuori dal comune. Ci fa piangere, ridere, vergognare, stupire. Senza alcun pudore, Vilas ci confessa infatti con straordinaria forza narrativa la trama accidentata della sua vita, ma soprattutto il suo senso. Chi siamo noi, quando i nostri genitori muoiono? Che ruolo abbiamo nel mondo, una volta non più figli? Siamo sempre noi oppure non lo siamo più? Possiamo ricordare davvero i morti e tenerli in questo modo in vita? Cosa significa l’appartenenza a una famiglia? E a una nazione? Che esperienze, caratteristiche, vissuto e sentito dei propri componenti ha fatto di una famiglia quella famiglia e degli spagnoli la Spagna? Ecco, queste sono alcune delle domande che si pone questo libro. Ma le risposte – vi assicuro – sono tutt’altro che scontate.
Genitori e figli
In particolare, Vilas si sofferma attraverso brevi pennellate sulla storia della sua famiglia. Il rapporto con i suoi genitori, il suo matrimonio fallito, i suoi figli, il legame con i suoi luoghi esistenziali, in particolare Barbastro. Prima di tutto, dalle sue pagine emerge la figura del padre. Bastano pochi dettagli, qualche breve descrizione, e il signor Vilas è già davanti a noi. Ma è solo il signor Vilas o anche qualcos’altro? Non è forse quello che per noi stranieri è lo Spagnolo? O ancora, non si tratta semplicemente del padre di Manuel Vilas? Queste tre figure sono la stessa cosa? O sono tre versioni diverse del signor Vilas?
La Spagna vista da Barbastro
E poi c’è la vita, crudele, e schietta, e sanguinante com’è per davvero. Ci sono polvere, sole e povertà per le strade di Barbastro.
Ci sono storie familiari di banale quotidianità e allo stesso tempo di follia e mistero. Zie che guardano i quiz alla televisione, automobili parcheggiate in seconda fila, liti dei genitori, pentole che sobbollono, noia, il gioco delle carte. Ma anche parenti che soffrono, che sono fragili, che brandiscono coltelli e cercano di ucciderti in una mattina qualsiasi di un giorno lontano ma non certo nel ricordo. Che cos’è tutto questo se non vita? E Manuel Vilas riesce a scorgerci dietro della bellezza. Perché in tutto – in fondo – c’è stata bellezza. Nei momenti più dolorosi, come la malattia dei genitori; nelle difficoltà, come nel rapporto con i figli; nelle frustrazioni, come nella sua personale relazione di odio e amore con la Spagna.
Ho aperto il cassetto perché…
In realtà non l’ho aperto, perché il libro in questione non avrebbe fatto in tempo a finirci dentro. È troppo recente, intendo, per finire già nel dimenticatoio, ma l’ho amato così tanto che non ho resistito a proporlo. Immagino, poi, che possa finirci presto, in quel cassetto, motivo in più per parlarne subito.
Anna Pietroboni