Quando Dawson’s Creek andò in onda per la prima volta negli USA, i critici televisivi inorridirono nel sentire degli adolescenti parlare di sesso. Soltanto nella prima puntata, Joey chiedeva a Dawson delucidazioni sulla sua attività masturbatoria, e per tutta risposta lui la informava di farlo pensando a Sharon Stone. Correva l’anno 1998 – la prima tv italiana è di due anni successiva – e certe cose in televisione non si erano mai viste. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, se Netflix ha rilasciato nel 2019 un teen drama in cui il sesso non è più un argomento qualunque, tra una cotta sui banchi di scuola e i compiti a casa. Tanto da dedicargli tutto il titolo: Sex Education. E le recensioni positive sono fioccate come neve.
La prima cosa che dovete sapere su Sex Education è che non si è troppo giovani o troppo vecchi per guardarlo. Non fatevi ingannare dal fatto che i protagonisti siano dei liceali alle prese con la scoperta e l’accettazione di sé stessi. Se credete di aver superato l’età oltre la quale sia pubblicamente ammissibile dire di guardare un teen drama, prendete un attimo in considerazione il fatto che uno degli interpreti principali sia Gillian Anderson – la Dana Scully di X-Files, per intenderci. Qui veste i panni di Jean, una terapista sessuale divorziata che tiene in casa ogni sorta di riproduzioni di genitali e che si preoccupa della masturbazione del figlio con la stessa apprensione con cui potrebbe constatare il suo rendimento scolastico.
Il figlio è Otis, sedicenne che ha il volto di Asa Butterfield e che ha, manco a dirlo, difficoltà a relazionarsi con il sesso. Essere il figlio di una esperta quanto disinvolta sessuologa e non aver perso ancora la verginità, e per di più non riuscire neanche a infilarsi le mani nei pantaloni, comporta la sua buona dose di disagio psicologico. Mentre Otis tenta di fare i conti con la propria intimità e sua madre inizia a scriverci su un libro, arriva Maeve, compagna di scuola cazzuta, bella e anticonformista, popolare ma non integrata, che ha intuito il potenziale economico di quell’enciclopedia che è diventato Otis: il giovane ha infatti assorbito come una spugna la conoscenza materna in materia di sesso, e insieme allestiscono un’agenzia di supporto per i loro coetanei con problemi di…ehm, appunto, sesso.
Potete immaginare già così quanto Sex Education possa essere esilarante. Eppure tutto questo basta, ché altrimenti staremmo con ogni evidenza parlando di una sit-com. Nella quinta puntata, Otis e Maeve devono risolvere il mistero di una foto imbarazzante che circola di smartphone in smartphone tra i ragazzi del liceo Moordale. Trattasi di una vagina, non particolarmente attraente, semmai vi fosse un’estetica dei genitali femminili, la cui proprietaria vuole impedirne la ulteriore circolazione prima che sia identificata come la sua vagina. Nel frattempo, Otis manca al festeggiamento per il compleanno del suo migliore amico Eric, omosessuale dichiarato e bullizzato, che si ritrova da solo, a subire un furto e infine un’aggressione omofoba. È il momento esatto in cui Sex Education erompe per quello che è: esilarante sì, ma anche coraggiosamente e giustamente sincero.
Gli adolescenti di questo bizzarro liceo britannico, mentre fuori indossano lustrini e generose scollature e vestiti insolitamente variopinti, dentro sono come ogni adolescente è a quell’età: fragile, inconsapevole, insicuro. Il sesso, a sedici anni più che mai, non riguarda soltanto l’atto sessuale in sé e per sé, ma si porta appresso tutta una serie di scoperte e di riflessioni che hano a che fare innanzitutto con noi stessi prima ancora che con il partner. Si tratta di fare i conti col proprio corpo e di avere il coraggio di dire a tutti che quella «è la mia vagina», perché dopotutto è l’unica che avremo per il resto della nostra vita, bella o brutta che sia. Si tratta di continuare a rispettare le nostre scelte, non importa quanto gli altri ci metteranno per comprenderle, anche se quegli altri includono un padre che spera che un giorno smetterai di essere gay.
Eric è, per l’appunto, il personaggio con l’arco narrativo più complesso di tutti. Ottimista e sicuro di sé, poi arrabbiato, poi triste, il ragazzo attraversa la prima stagione destreggiandosi tra una sfilza di offese arrecategli – pestaggi, spintoni, umiliazioni – per poi uscirne con maggiori consapevolezze e qualche rivelazione in più rispetto ai suoi amici. Complessi, però, lo sono tutti. Il campione di nuoto con attacchi di ansia, il belloccio della scuola incompreso dal padre e perennemente incazzato, il terzetto dei ragazzi popolari, snob ma insicuri. Sembrerebbero le figurine di un qualunque film americano ambientato tra i corridoi del liceo. Il ballo scolastico c’è, gli armadietti pure, la brama della popolarità e l’attaccamento alla reputazione anche. Invece no, Sex Education è leale. Chi l’ha scritto non si è chiesto come gli adolescenti vorrebbero essere o pretendono di essere, ma come sono realmente. Dimenticatevi i ragazzi di Capeside che parlavano con un vocabolario da premio Pulitzer, o quelli di Gossip Girl che ostentavano un’esperienza sessuale e una sicurezza francamente ridicoli (vi ricordate Chuck Bass?).
Le ragioni del titolo, a questo punto, sono quanto mai evidenti. Quello che non era scontato è che l’educazione sessuale in una serie tv con protagonisti degli adolescenti conducesse finalmente all’esplorazione e al riconoscimento di ogni parte di sé, dentro e fuori al sesso. Com’era prevedibile che fosse – e d’altronde sarebbe piuttosto inverosimile se non fosse così – ci sono problemi che esplodono sotto le lenzuola ma che derivano da molto più lontano. Come la coppia lesbica che, nella quarta puntata, si rivolge a Otis per capire come mai non riesca a godere dei propri, sfortunati amplessi. Del resto le questioni di cuore, i conflitti con i genitori e la difficoltà a trovare un partner che ci comprenda sono problemi che ci attanagliano a tutte le età; vuoi vedere che non abbiano importanza anche nella pubertà? Dateci retta, se vi trovate su Netflix date una chance a Sex Education. E ricordate: se incappate in un tutorial che riguarda una banana, non provate a farlo da soli a casa.
Andrea Vitale
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