Vuoto ed emozioni in Modi incompiuti di morire, André Timm
Hai tredici anni. Gli arti crescono disordinatamente, come se fossero in competizione, pur essendo molto diverse le competenze che li fanno sviluppare. I piedi crescono più rapidamente rispetto alle gambe, il naso scatta con un grande vantaggio sugli altri elementi che costituiscono il volto. Le braccia si allungano al punto da far apparire il torace troppo piccolo per le appendici che trasporta. Qua e là i peli iniziano a spuntare senza un copione apparentemente definito: gambe, braccia, ascelle. L’ombra di una barba si affaccia timidamente. Nella pancia, miccia e polvere da sparo. A tredici anni, forse pensi alle ragazze. O magari ai ragazzi. Forse non sai bene cosa pensare o magari pensare è l’ultima cosa che ti viene in mente in fatto di ragazze. O ragazzi. Forse i tuoi piedi enormi e sproporzionati non sono ancora cresciuti abbastanza da raggiungere l’altro lato della linea. Il lato in cui hai la certezza di determinate cose, il lato in cui sei già avanzato tanto da non sentire la mancanza di ciò che devi lasciarti indietro o da sentirti attratto da tutto quello che deve ancora venire.
[Modi incompiuti di morire, André Timm, Tuga, p.13].
Comincia così il romanzo di André Timm, Modi incompiuti di morire, edito da Tuga edizioni. Comincia con una certezza – la crescita – e la propone con un disordine proprio dei sistemi complessi. Lo fa come se stesse già configurando una differenza fra la realtà immaginata e quella effettiva, quella che porta un ragazzino di soli tredici anni a puntarsi una pistola al volto per farla finita. A soli tredici anni.
Ma non ci riesce. È questo l’incipit che dà il via al romanzo. È un punto mediano nella storia, poiché ci sarà raccontato ciò che viene prima e ciò che segue questo momento di massimo smarrimento.
Incomprensioni di una vita differente
Santiago, il nostro protagonista, è affetto da una grave forma di narcolessia. È una malattia abbastanza nota, e già – leggendo i primi incidenti di sonnolenza – siamo portati a una diagnosi sicura. Lo capiamo quando Santiago crolla addormentato nel mezzo del cortile della scuola. È evidente che non può essere sonno. Eppure, nessuno sembra dare peso a tutto questo. I genitori sottovalutano la situazione, i compagni ridono – hanno tredici anni, sono forse gli unici che è possibile assolvere – i professori ignorano.
È una situazione paradossale, se vogliamo. Com’è possibile che un ragazzino narcolettico non venga riconosciuto come tale e aiutato?
L’evidente risposta è nella tematica principale di questo libro. Che non è – chiaramente – la narcolessia, ma il freddo isolamento generato dall’assenza di emozioni.
La forma di narcolessia di Santiago gli comporta svenimenti nel momento in cui prova forti emozioni. Non potrà mai godersi una sana risata, né fare sesso, probabilmente nemmeno baciare una ragazza – o un ragazzo – senza svenire. Non potrà gioire, piangere, provare paura, eccitazione, senza che la sua malattia spenga temporaneamente l’interruttore.
Vuoto emotivo
Una vita priva di emozioni – impossibile da vivere, e infatti Santiago continua a svenire – è una vita di solitudine fisica e psicologica. Lo vediamo meglio nella seconda parte del libro, quando Santiago non ha più tredici anni ed è un adulto.
Tutto, nel libro di Timm, è trasfigurato a mostrare una totale assenza di emozioni, che si traduce in un vivere per sé, in un mancato senso di comunità. La cittadina in cui Santiago vive, è un posto piccolo in cui tutti si conoscono. Eppure è proprio qui che si consuma la tragedia che è l’isolamento.
Ancora più forte diventa il rapporto fra questa mancanza di emozioni, una vita piatta e il personaggio di Agnes, che ne è agli antipodi. La rappresentazione dell’altruismo: innamorata – di un amore che mai potrà essere corrisposto fino in fondo – e sempre disposta ad aiutare.
In questo mondo creato da Timm, diventa palese perché nessuno si accorge della narcolessia, perché a nessuno sembri importare. È una proiezione. È un intero paese in cui ognuno pensa ai fatti propri, un paese senza picchi di emozioni, senza grandi sentimenti. È un paese morto dentro, soltanto che ancora non se n’è reso conto, incancrenito e incapace di liberarsi del proprio dolore muto.
Il romanzo del tu
Ultima nota positiva va riservata allo stile. Modi incompiuti di morire è un romanzo in seconda persona. Si rivolge, cioè, con il tu al protagonista. E questo non è un modo semplice di scrivere, soprattutto considerando la lunghezza di un romanzo. Eppure Timm non cede il passo, non cala nel ritmo o nella capacità di gestione della pagina. La scrittura di questo libro è una prova tecnica eccezionale.
Gioca inoltre anche con forme di narrazioni differenti. Non sono infrequenti – ad esempio – degli elenchi puntati in cui vengono riassunte delle situazioni, o delle note che vanno a completare la percezione delle informazioni.
Modi incompiuti di morire è un romanzo atipico che si divincola dalla normale idea di roman comme il faut, per trasfigurare l’intera vicenda in un mondo onnicomprensivo di piattezza emozionale. Un insieme di piccole morti che ci lasciano in vita, ma lasciano dentro di noi cicatrici che non siamo in grado di vedere.
Maurizio Vicedomini