Quello riportato in libreria dalla Alessandro Polidoro editore in questi giorni è un racconto lungo dal pieno sapore ottocentesco. E non solo perché il suo autore è Edgar Allan Poe, chiaramente, ma perché una serie di elementi ci porta a immergerci in un’atmosfera precisa, fatta di mistero, ipotesi di follia e una caccia al tesoro.
La prima cosa che ci rimanda a un libro d’altri tempi è la sua struttura in due momenti. La prima metà è il mistero nel suo insieme, dall’attimo in cui si propone fino al termine degli eventi. Nella seconda, poi, viene illustrata la risoluzione: come, cioè, il nostro protagonista è stato capace di venire a capo di quella che sembra più un’ossessione dettata dalla pazzia che un vero enigma.
Oggi una struttura del genere sarebbe difficile da accettare, questo perché non sussiste quella carica immersiva con la quale il lettore è al fianco del protagonista e procede a raccogliere i vari indizi. Nel racconto di Poe il lettore è – come il narratore – ignaro di molti elementi necessari e non può far altro che sedere accanto al fuoco e ascoltare Legrand che spiega ogni cosa.
Eppure, ciò non disturba. Il racconto è avvincente in entrambe le sue nature. Nella prima la carica di mistero è fortissima, proprio perché ci mancano gli elementi per capire cosa stia succedendo. Nella seconda il mistero viene svelato passo passo, con l’ausilio di codici e crittografie. Si passa, insomma, dall’astratto del mistero alla concreta presa della logica.
La trama si sviluppa con l’aumentare del mistero, dunque non è possibile dire molto. Ma prendiamo questa come base: Un discendente di una famiglia ormai in miseria trova uno strano scarabeo dorato. Crede sia di una specie tutta nuova e che possa – quindi – valere una fortuna. Quando la voce narrante – amico di questo Legrand – va a visitarlo, scoprono che il carapace dello scarabeus assomiglia incredibilmente a un teschio. Da qui Legrand sembrerà impazzire, come divorato da un’ossessione.
Ciò che Poe fa, con grande maestria, in questo racconto, è un trucco di prestidigitazione. Come ogni mago provetto, tiene la nostra attenzione sulla mano destra mentre la sinistra mette in moto il trucco. La mano destra, in questo caso, è proprio lo scarabeo. Il centro di tutto, il titolo del racconto, la speranza di tornare a essere ricco. Eppure… eppure c’è una mano sinistra.
Forse è proprio questo il più grande merito di questo testo. Una grande lezione su come indirizzare l’attenzione del lettore, mentre il mistero si costruisce pagina dopo pagina.
Maurizio Vicedomini
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