Woody, Buzz Lightyear, Mr e Mss. Potato, Bo Peep: sono nomi noti a tutti, tant’è che chiunque può intuire di cosa stiamo parlando, e cioè del capolavoro prodotto dalla Pixar e distribuito dalla Disney: Toy Story.
La saga d’animazione di Toy Story, iniziata nel 1995, è arrivata ormai al quarto capitolo, quello conclusivo. Il primo ha fatto scoprire ad adulti e bambini come i giocattoli abbiano una loro vita quando noi non siamo presenti; prendono vita, chiacchierano tra loro, scherzano, litigano, si innamorano. Così accade nella cameretta di Andy, un bambino di 8 anni, piena di pupazzi e giochi tra i più vari; tra questi il preferito di Andy è Woody, un pupazzo cowboy, che da un giorno all’altro però viene soppiantato dalla novità rappresentata dallo space ranger Buzz Lightyear.
Dopo un’iniziale ostilità che scatenerà una serie di rocambolesche avventure, Woody e Buzz diventeranno grandi amici. I due infatti, ormai inseparabili, si ritroveranno spesso in situazioni particolari aiutandosi a vicenda o architettando piani per salvare gli altri giocattoli. Così in Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa, questa volta toccherà a Buzz trarre l’amico Woody fuori dai pasticci. Abbandonato da Andy sullo scaffale per colpa di un braccio strappato, il pupazzo cowboy teme che il suo padroncino lo possa abbandonare per sempre. A peggiorare le cose ci si mette anche Al McWhiggin, un collezionista senza scrupoli che ruba Woody con l’intenzione di venderlo a un museo di giocattoli in Giappone. Buzz e compagni si faranno in quattro per riportarlo a casa superando ogni sorta di difficoltà in nome di un legame che non conosce ostacoli.
Arriviamo così a Toy Story 3 – La grande fuga. Andy, il bambino protagonista che all’inizio di questa saga aveva 8 anni, è cresciuto, di anni ne ha già 17 e sta per partire per il college. Ciononostante, è ancora affezionato ai suoi compagni d’infanzia e, spinto dalla madre a liberare la sua stanza, decide di conservarli: Woody viene messo nella scatola degli oggetti da portare al college, mentre tutti gli altri finiscono dentro un sacco della spazzatura destinato alla soffitta. Una serie di circostanze farà si che i giocattoli si ritrovino all’asilo in mano ai bambini più piccoli che distruggono tutto quello che trovano. Dopo una serie di interventi di Buzz, Mr. Potato, Woody, e la comparsa di una nuova bambina di nome Bonnie, si ristabilisce l’intero ordine con un vero e proprio passaggio di testimone.
Woody si rende conto che lui e gli altri giocattoli sarebbero più utili altrove e suggerisce ad Andy di regalare i giocattoli a Bonnie. E così Andy mostra a Bonnie tutti i suoi giocattoli, trascorre l’intero pomeriggio a giocare con lei e a insegnarle a prendersi cura dei suoi nuovi amici, così come faranno loro (anche se lei non lo saprà mai). Quando alla fine l’auto di Andy si allontana per andare al college, Woody saluta commosso il suo vecchio padroncino, mentre i giocattoli stanno per iniziare la loro nuova vita con Bonnie.
Toy Story 3 sembrava chiudere degnamente la saga con il passaggio di testimone, portando a maturazione i discorsi affrontati nei primi due capitoli e aprendo a ulteriori discorsi contemporanei, che guidano lo spettatore verso svariate chiavi di analisi: la crisi dei valori della società moderna con la crescita dei figli (Andy che ormai grande decide di abbandonare i vecchi giocattoli), la dittatura politica con l’emarginazione e la punizione per i dissidenti (in riferimento al “sistema” del Sunnyside), il principio dell’amicizia, la scarsa virilità, la fragilità dell’uomo contemporaneo e la riabilitazione sociale dell’individuo (con la presa di coscienza e la riscoperta della felicità nella parte conclusiva).
Quando ormai pensavamo conclusa la saga, nove anni dopo l’uscita di Toy Story 3, arriva però nelle sale Toy Story 4 (il primo che noi italiani seguiamo senza la voce di Fabrizio Frizzi, che aveva doppiato lo sceriffo Woody nei primi tre episodi). Due i nuovi protagonisti tra i giocattoli. La piccola Bonnie, che ancora si prende cura di tutti “gli amici” che Andy le ha regalato, deve affrontare il primo giorno di asilo. Non può portare giochi con sé ma Woody, che mai si arrende all’essere messo da parte, la aiuterà a costruirsi un nuovo amico: Forky. E così una forchetta di plastica ritrasformata, con tanto di occhi, bocca, mani e piedi messi insieme alla men peggio, diventerà il suo gioco preferito, una new entry tutta da scoprire. Forky non è pronto per il compito e non si sente un giocattolo, sa di essere spazzatura e lo ripeterà molte volte per convincere anche gli altri di questo.
In realtà il personaggio è una piccola meraviglia che potrebbe essere semplicemente monodimensionale e invece alla fine ruba la scena per la dolcezza e l’ingenuità che rappresenta. La sequenza in cui Forky cerca di suicidarsi buttandosi ripetutamente nel cestino mentre Woody continua a salvarlo sulle note di I Can’t Let You Throw Yourself Away di Randy Newman è epica. Saranno tante le volte in cui Forky proverà a farla finita, anche durante il viaggio di Bonnie con i genitori, e toccherà sempre a Woody occuparsi di lui. E prorpio durante quel viaggio, il cowboy si imbatte in una sua vecchia fiamma, Bo Peep, la pastorella che ormai non appartiene più a nessuna bambina, ma è a capo di una piccola banda con le sue tre pecorelle.
L’altro nuovo protagonista è Duke Caboom, uno stuntman canadese abbandonato dal suo bambino perché non era in grado di compiere le stesse acrobazie mostrate nella pubblicità. Ritorna quindi anche in Toy Story 4 un tema più volte accennato negli altri episodi: il rischio di diventare desueti e inutili, di non corrispondere alle aspettative; l’incombenza dell’età che avanza, della fine, della morte che anche per dei giocattoli è una preoccupazione pressante. Ogni personaggio cerca di affrontare e sconfiggere questa paura a modo suo.
Sono tanti i valori che Toy Story ha promosso e portato avanti in tutti questi anni e che ora con questo quarto episodio ha in qualche modo tentato di ricapitolare: lealtà, amicizia, aiuto reciproco, coraggio, accettazione della diversità e dei cambiamenti, trovare il buono anche in chi all’apparenza sembra cattivo. La saga sviluppa questi temi in modo semplice e diretto ma non banale, nel tentativo, perfettamente riuscito, di mettere in luce i valori e la fragilità di sentimenti profondamente umani, anche se vissuti da dei giocattoli.
Woody non riesce a concepire sé stesso se non come il giocattolo di qualcuno, si fa in quattro per rendere felice Bonnie, si prende cura dei suoi padroni. Lo scopo di un giocattolo, secondo Woody, è portare gioia ai bambini. Oggi però Woody è invecchiato, ha capito molte cose e ha fatto un suo personale percorso di crescita e di accettazione dei cambiamenti in atto. Un po’ come Andy che ha dovuto rinunciare a lui, crescendo, ora Woody comprende che deve rinunciare a Bonnie e a qualsiasi altro bambino o bambina. Bonnie lo lascia sempre più spesso dentro l’armadio. Andy lo amava così tanto, ma non c’è più. Le cose cambiano e a volte fanno male. Un po’ racconto di formazione, un po’ cartone, il film non perde mai di vista la sua impronta avventurosa, amalgamando differenti registri espressivi: comico, drammatico, ironico e perfino horror, raggiunge il suo obiettivo di catturare l’attenzione degli spettatori dai più piccoli ai più grandi. Un passatempo costruttivo e emozionante. «Aspetti di vederli crescere, di vederli persone adulte, e poi se ne vanno». Ma ogni fine è anche un nuovo inizio. Woody ha pian piano capito che è giunto il momento di una scelta, che ora deve farsi da parte, pensare magari alla sua vita, al suo amore: è l’inizio di un nuovo destino.
Anna Chiara Stellato
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