Cara Matilda,
sei una bambina fortunata, perché, come un giorno certamente ti racconteranno, da piccola hai potuto giocare infilandoti sotto la scrivania del tuo bisnonno, Andrea Camilleri. E sei fortunata perché è a te che lui si rivolge in un testo corto e recente che si intitola Ora dimmi di te. Lettera a Matilda. E siamo fortunati anche noi perché questo testo è edito da Bompiani e quindi accessibile a tutti.
Queste pagine sono state scritte da Camilleri nell’agosto del 2017, a pochi giorni dal suo novantaduesimo compleanno, mentre la nipotina Matilda non ha ancora quattro anni.
Camilleri scrive:
[…] ho piena coscienza, per raggiunti limiti di età, che mi sarà negato il piacere di vederti maturare […]. Insomma, mi sarà impossibile parlare e dialogare con te. Allora queste mie righe vogliono essere una povera sostituzione di quel dialogo che mai avverrà tra di noi.
Questa mia recensione non vuole essere solo la segnalazione di un libro interessante ma anche e soprattutto l’omaggio a una grande personalità della cultura italiana, scomparsa il 17 luglio scorso. Un omaggio, tra l’altro, fuori dai sentieri battuti, perché se è vero, come è vero, che è il suo personaggio di Montalbano ad avergli dato una celebrità immensa, ad avergli permesso di essere tradotto in trentasette lingue, ad aver venduto (nel momento della stesura di Ora dimmi di te. Lettera a Matilda) diciotto milioni di copie solo in Italia, è vero anche che Camilleri è una personalità di altissima levatura che ha fatto molto, moltissimo, già prima e aldilà di Montalbano.
In Ora dimmi di te. Lettera a Matilda, Camilleri ripercorre la sua vita, intrecciandola ai fatti salienti della storia italiana su cui porta uno sguardo attento e perspicace.
Nato nel 1925 a Porto Empedocle, nel Sud della Sicilia, trascorre l’infanzia nell’Italia fascista. Si svincola dal fascismo e diventa comunista nella primissima giovinezza. E inizia precocemente, e con successo, l’esercizio della scrittura che scivola presto dalla poesia e il racconto verso il teatro.
Scopriamo un ragazzo di talento ma dal carattere non sempre facile, incapace di non ribellarsi a un ordine per lui sbagliato. Lo seguiamo nel passaggio dalla Sicilia a Roma, dove viene ammesso alla sezione di regia dell’Accademia nazionale d’arte drammatica. Sarà, quindi, regista teatrale, ma anche autore e sceneggiatore per la radio e la televisione.
L’incontro con la moglie Rosetta è evocato in poche dolcissime linee: «Così, appena tornai a Roma le telefonai e la invitai a cena, lei accettò.
Da quella sera ceniamo assieme da oltre sessant’anni».
E poi la lunga carriera in Rai, la partecipazione al dibattito politico ma il non voler essere candidato, il rifiuto netto e indignato a un paio di tentativi di corruzione, l’insegnamento, il ritrovarsi nel mezzo di una strage di mafia. E la scrittura, ancora e sempre la scrittura.
Camilleri si racconta in un testo breve, che si legge in un paio d’ore, con una capacità di concisione straordinaria e riuscendo a sintetizzare in poche linee passaggi fondamentali della storia del nostro paese, e non solo.
Io che, devo ammettere, Camilleri l’ho più ascoltato che letto, sono stata affascinata dalla lucidità di pensiero espressa sempre con parole chiare e nette. Una mente vivace, fino alla fine, la disponibilità al sorriso, il senso del racconto, la saggezza dell’esperienza, la fiducia nell’uomo.
Negli ultimi tempi, avevo certamente condiviso la sua denuncia e la sua preoccupazione per la situazione del nostro paese e per la degradazione non solo in termini di dati economici e di condizioni sociali, ma culturale e finanche linguistica. C’è una deriva pericolosa in Italia (e non solo, in realtà) contro cui Camilleri ha puntato il dito, una deriva che passa anche attraverso il linguaggio: vien da pensare che davvero non siamo capaci di imparare dalla Storia, e che di fronte a certe dinamiche, a certi contesti e a certi personaggi venga meno la capacità di analisi e talvolta persino il buon senso.
Gli ho anche sentito dire che non aveva rimpianti, che non aveva rimorsi, che ha vissuto come ha voluto: che cosa meravigliosa. Gli ho sentito dire che la sua droga era la vita stessa, la voglia di ridere e divertirsi. Gli ho sentito dire che si preparava ad andar via senza aver conosciuto “l’umor nero del tramonto”.
Quindi, Matilda, quando sarai grande, quando sarai pronta, quando lo vorrai, rispondi a questa lettera. Raccontagli quello che sarà diventato questo mondo che lui ha lasciato con parole di analisi costruttiva ma anche di giusta preoccupazione. Raccontagli come saranno andate le cose.
E poi digli di te.
Manuela Corigliano
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