Questa rubrica ha il fervido intento di aprire, in punta di piedi, una finestra sull’affascinante cenacolo letterario composto da poetesse italiane. Penne finissime che celano sensibilità sorprendenti, fra tragedie, amori, delusioni e sprazzi intensi di felicità traboccante, in poche parole: la vita. Cos’altro se no? Da Patrizia Valduga a Maria Luisa Spaziani, ecco, come un collage, riproposte alcune delle più belle poesie delle poetesse trattate nella rubrica. Insieme, un mosaico al femminile:
Vieni, entra e coglimi, saggiami provami …
comprimimi discioglimi tormentami …
infiammami programmami rinnovami.
Accelera … rallenta … disorientami.
Cuocimi bollimi addentami … covami.
Poi fondimi e confondimi … spaventami …
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami … ardimi bruciami arroventami.
Stringimi e allentami, calami e aumentami.
Domami, sgominami poi sgomentami …
dissociami divorami … comprovami.
Legami annegami e infine annientami.
Addormentami e ancora entra … riprovami.
Incoronami. Eternami. Inargentami.
Di giorno mi protegge solitudine
E quando è notte mi fa scudo angoscia.
Nell’ombra mia sigillo il tuo pensiero
Ed è il suo scrigno un’anima fanciulla.
Del primo incontro l’attimo passò
E, breve, il tuo ritorno l’indomani
Mi ha chiuso in un tumulo di secoli.
L’alba a rintocchi cade
Sulla mia testa ammalata
Il difficile umore m’assale
Verde come la paura
Se ora tu bussassi alla mia porta
e ti togliessi gli occhiali
e io togliessi i miei che sono uguali
e poi tu entrassi dentro la mia bocca
senza temere baci disuguali
e mi dicessi: «Amore mio,
ma che è successo?», sarebbe un pezzo di teatro di successo.
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l’ultimo gradino…
ora è sparsa l’acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.
T’ho barattato, amore, con parole.
Buio miele che odori
dentro diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava –
ti riconoscerò dall’immortale
Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.
Altro da me in tutto… maschio, estraneo,
altra carne, altro cuore, altra mente,
pure, il mio stesso corpo prolungato,
la voce che si sdoppia, e mi continua:
ciò che si oppone, e ciò che mi compone
come un discorso teso, mai concluso,
o l’altro occhio: il raggio che converge
al rilievo, allo scatto delle cose –
mio necessario opposto, crudele meraviglia
è amare te: godere di due vite
in questa sola, avere doppia morte.
L’indifferenza è inferno senza fiamme,
ricordalo scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.
Se il mondo è senza senso
tua solo è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.
Valentina Grasso
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