Racconto: Al di là – Sergio Trapasso
– Sono arrivato. È stata dura ma sono arrivato
Sono fiducioso. Sono spaventato. Sono determinato. Sono nel panico. Dove mi portano? Gli altri non li conosco. Mi daranno delle scarpe? Ho percorso migliaia di chilometri. Mi daranno da mangiare? Sono tutti uguali. Sono tutti diversi. Perché non si sposta questo? Vorrei il mio spazio. Vorrei il mio tempo. Non vedo mia mamma da quattro mesi. Le sarà arrivato il messaggio? Quanta fatica che ha fatto per trovarsi dopo sedici anni di nuovo da sola.
Controllo il telefono. Non ha ancora risposto. 15% di carica.
Adesso siamo in fila, in piedi. Loro sono severi ma gentili. Loro hanno le mascherine e i guanti. Ci trattano cortesemente ma sembriamo animali. Uno a uno chiedono i documenti. Molti non li hanno mai avuti. Molti non sono sicuri nemmeno di dove siano nati e quando. Un giorno vale l’altro. Le nostre convenzioni sono diverse. I confini dei nostri Stati sono cambiati e cambiano spesso. Io sono nato da mia madre. Questo lo so. In un posto in mezzo all’Africa dove non c’è mai stata una guerra da raccontare, solo morti uccisi per un pezzo di terra. Come papà, per proteggere il villaggio. Gli altri erano arrivati con pistole e fucili per vincere contro coltelli e accette. Come lo spiego a questi che io non sono nato in un ospedale, che ho vissuto lungo una secca strada piena di polvere e che solo grazie alla scuola di Padre Luis ho potuto imparare a scrivere, leggere, i numeri e poco più?
Non lo spiego. Loro capiscono. Scrivono qualcosa.
Ci spostano in un’altra stanza, più grande. Ci sono delle sedie ma nessuno si avvicina. Stiamo fermi. Aspettiamo ancora. Sono in mezzo agli altri. Qualcuno l’ho conosciuto durante il viaggio. Ognuno pieno di speranze e paura. È diversa la paura quando non sei a casa. Fa più paura. Hai timore anche di fare un passo verso una sedia. Ripenso a quel mare. Senza averlo mai visto prima di quattro giorni fa, ho dovuto attraversarlo. Completamente. La frescura dell’alba e i piedi nell’acqua per spingere la barca al largo. Ognuno a farsi un posto come se fosse possibile aumentarne la superficie. Dipita, mia sorella, siede accanto a me. Mi stringe e guarda con i suoi occhi profondi e lucenti come questo infinito mare. Io l’abbraccio. Siamo soli ma siamo insieme. Siamo insieme e non siamo soli. Nei suoi lineamenti ritrovo la mia famiglia, il rosso bruciato della terra nelle sue lentiggini, la seta delle foglie d’aloe sulla sua pelle e la forza del baobab nel suo sguardo.
Quanto mi manca casa. Quanto mi manca mamma.
Qua nessuno sa niente. Io non ho idea di dove ci porteranno. Siamo ancora in mezzo al mare, un mare pieno di dubbi e incertezze, senza un momento per lasciarsi cullare, senza un punto verso cui andare. Come gli altri, stringo a me le poche cose che ho. Il telefono. La giacca. Qualche soldo e una lettera in una busta di plastica sigillata. La collanina d’oro avuta in cambio dei risparmi di mia madre e che qua spero di scambiare di nuovo. Nient’altro. Nient’altro da stringere. Nemmeno la mano di Dipita.
– Tesoro mio, sono così felice. Tua sorella come sta?
Sergio Trapasso