Quando si parla di un libro, di solito, si procede per masse critiche. Si prende il nocciolo, quello che con la sua gravità attrae tutto il resto, e si comincia da lì. In una raccolta di racconti è più raro che il centro di gravità sia unico. Un libro del genere è un sistema di equilibri, ed è la risoluzione di quel sistema a dare un quadro generale di un’opera frammentaria.
I punti in cui scavare di Flavio Ignelzi (Polidoro editore, 2019) presenta una difficoltà ancora maggiore, perché – e lo dico senza troppo timore di smentita – ogni racconto si condensa intorno a un proprio centro di gravità. È una raccolta, questa, formata su una scelta qualitativa – “Il meglio della sua produzione breve”, recita la seconda di copertina – e non di contesto.
Siamo allora davanti a un libro che per sua natura e scelta compositiva è composto da microcosmi indipendenti – o semi-indipendenti – che non è possibile racchiudere sotto un’egida unica.
Ed è qui che comincia il bello.
Una volta compreso questo semplice dato di partenza, leggere I punti in cui scavare diventa molto simile a mangiare da una scatola di cioccolatini multigusto. Pur avendo rispettato l’ordine deciso dall’autore, è evidente che si può saltare da una pagina all’altra, da un racconto all’altro, come se si trattasse di un librogame, con l’unica eccezione costituita dai due Morra e Morra (Reprise) che, come ci insegna l’industria discografica, sono parte di un unico insieme.
La diversità di questi cioccolatini è dovuta ad alcuni fattori. Il genere – c’è il realistico, il distopico, il thriller, l’adolescenziale – tanto per cominciare. Ma anche la capacità di Ignelzi di approcciare a storie diverse con voce, tono, ritmo diversi. Ed è questa la capacità che spunta di più, nel leggere il libro. La versatilità di un autore capace di padroneggiare stili e registri molto diversi fra loro.
Parlando dei racconti in sé, tutti riescono a dare un colpo di svolta finale – che non è necessariamente un colpo di scena in senso classico, ma anche solo uno sviamento laterale che rende la lettura straniante per una pagina o due. T come tonfo, per esempio, mette in scena la psicologia di un personaggio sull’orlo di una crisi di nervi – o chissà cos’altro – fra passato e presente, realtà e fantasia. E Morra incrocia tre storie diversissime in punti di contatto momentanei e labili.
Monto in auto incazzato e infilo le chiavi nel cruscotto. Il quadro s’illumina di blu ceruleo e di bianco neon. Il contachilometri segna novemilaseicento chilometri tondi. Il sasso colpisce il parabrezza quasi al centro. Bum!
Mannaggialaputtana. Il colpo e lo spavento mi fanno sobbalzare. Mannaggialaputtanabestia.
Guardo la ragnatela crepata che si estende dal punto d’impatto. Il sasso è rotolato sul cofano. È un cazzotto di cemento aguzzo.
[Morra, p.109]
E borderline è anche il protagonista di Piano B, alle cui vicende si alterna una sentenza giuridica. Questo giocare con gli stili diventa evidente in Nostra signora dei lukketti, che tenta di raccontare una storia in linguaggio sms.
I punti in cui scavare è una raccolta poliedrica, divertente ma disturbata e distrubante. Uno sguardo a 360 gradi su un’umanità sull’orlo del collasso (personale o planetario). Uno sguardo nelle teste delle persone, al punto che sembrano siano proprie quelle, le teste, i punti in cui scavare.
Maurizio Vicedomini
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