La prima stagione di Vagabond (16 puntate trasmesse su Netflix) alza l’asticella della qualità nelle serie tv di spionaggio, dimostrando al contempo quanto le produzioni coreane si possono fregiare del merito di miglior realizzazioni cinematografiche a livello internazionale.
La storia inizia con il rapporto scanzonato tra Cha Dal-geon – uno stuntman a gettone – e il suo nipote Hoon, da lui protetto dopo la morte del padre e l’abbandono da parte della madre. Il giovane Hoon è parte della nazionale juniores coreana di Taekwondo e con tutta la squadra riceve l’invito di una dimostrazione atletica in Marocco. L’aereo che trasporta i ragazzi viene però sabotato e distrutto durante il volo, ma quando alcuni giorni dopo il disastro i parenti delle vittime vengono invitati in Marocco, Dal-geon si rende conto che troppi punti sono oscuri nel resoconto ufficiale degli avvenimenti. Ciò che però non può prevedere è che la sua ricerca di giustizia verso il giovane nipote lo porterà a scontrarsi con organizzazioni paramilitari, servizi segreti, controspionaggio, Ministri corrotti e soprattutto a dover cooperare con la splendida Go Hae-ri, una ragazza che lavora sotto copertura per i NIS, i servizi segreti sudcoreani.
Tra le varie particolarità di Vagabond spicca la scelta delle ambientazioni, che alternano più volte tra Seoul e alcune zone del Marocco. A seconda del continente a volte si ha l’impressione che le inquadrature seguano schemi volutamente differenti. Le puntate ambientate nel nord Africa presentano scene allargate, riprese dall’alto, e le azioni spesso si concretizzano con inseguimenti sui tetti o su strade costiere. I passaggi ambientati nella capitale sudcoreana presentano più dialoghi e primi piani dei personaggi, lasciando così spazio all’evoluzione dei rapporti tra i vari protagonisti della serie. Un ulteriore punto di merito è da assegnare agli ondeggiamenti della telecamera quando un personaggio rivela dettagli fondamentali – e inaspettati – sul prosieguo della vicenda. Tali ondeggiamenti procurano alla vista un buon bilanciamento tra lo stupore per il colpo di scena e l’improvvisa frenesia nel dover ipotizzare alcuni scenari prossimi.
Nonostante non ci sia una puntata sottotono, sono riscontrabili tre momenti particolarmente significativi per sintetizzare la potenza visiva e narrativa di Vagabond.
Quando lo stuntman Cha Dal-geon riconosce all’aeroporto di Tangeri una persona che doveva essere morta insieme agli altri passeggeri dell’aereo, inizia una scena di inseguimento che sembra non avere fine e che – essendo posta nella puntata pilota della serie – catapulta lo spettatore in un mondo privo del tempo per rifiatare.
Nella puntata 8 un’altra scena ambientata in Marocco mostra i servizi segreti sudcoreani scortare un testimone della tragedia fino all’aeroporto, destinazione Tribunale di Seoul. Durante il tragitto però le inquadrature mostrano dall’alto vari cecchini e poliziotti corrotti, aumentando l’attesa verso l’ineluttabile imboscata che qualcuno ha pianificato nei dettagli.
Il finale della dodicesima puntata mostra la potenza dei singoli cittadini quando decidono di cooperare tra loro. Un testimone chiave del processo contro la compagnia aerea deve raggiungere il Tribunale, ma la polizia prima e i mercenari dopo si adoperano per far sì che l’uomo non sopravviva. A pochi metri dall’entrata però le famiglie delle vittime decidono di accerchiare l’uomo e agire come scudi umani, proteggendolo così dalle linee di fuoco e consentendogli di raggiungere l’edificio.
Vagabond è un crescendo di emozioni difficilmente ritrovabili nelle altre produzioni seriali di quest’anno. Nonostante l’imponente numero di personaggi i creatori di questa prima stagione sono riusciti nell’intento di caratterizzarli in maniera approfondita, in modo che l’utente possa affezionarsi o detestare ogni personaggio in maniera differente. L’ennesimo anno d’oro del cinema coreano – come non citare Parasite? – sta per concludersi, nell’attesa della seconda stagione di Vagabond e di chissà quante altre nuove loro produzioni.
La speranza è che in tempi brevi anche le produzioni italiane riescano a raggiungere questo livello qualitativo, o che quantomeno inizino a osare, a creare storie per la necessità di farlo e non per compiacere gli utenti.
Luca Pegoraro
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