Dieci piccole storie. Per ogni storia una pietanza, per ogni piatto un personaggio. Questi i pochi semplici ingredienti della serie nipponica Midnight diner: Tokyo Stories (“La tavola calda di mezzanotte”), della quale Netflix ha distribuito due stagioni, ma che nel suo paese di produzione – ispirata al manga Shinya Shokudō di Yaro Abe – è giunta alla quinta stagione.
Pochi semplici ingredienti, come quelli assemblati con sapienza e sobrietà orientali dall’anonimo masutā (“Master”), il creativo chef – interpretato da Kaoru Kobayashi – proprietario del locale.
Quando le persone giungono a fine giornata e si affrettano verso casa, inizia la mia giornata. La mia tavola calda è aperta da mezzanotte alle 7 di mattina. La chiamano “la tavola calda di mezzanotte”. Questo è tutto ciò che ho in menù. Ma preparo qualsiasi cosa mi chiedano i clienti, se ho gli ingredienti necessari. È questa la mia politica. Se ho abbastanza clienti? Più di quanti ci si aspetterebbe.
Con queste sue parole fuori campo si apre ognuno dei dieci episodi di Midnight Diner, accompagnate da una dolce nenia in sottofondo che fa da contraltare alle immagini delle strade affollate di Shinjuku, quartiere tra i più caotici di Tokyo e cuore della vita notturna.
Ed è lontano dagli intasamenti stradali e dall’alienazione metropolitana, così tipica dei soffocanti conglomerati urbani dell’estremo oriente, all’ombra delle folle e del cemento, che si apre la realtà marginale del vicolo dove sorge il rifugio accogliente della tavola calda.
I piatti serviti dallo chef, e che danno il nome a ciascun episodio, sono in realtà un escamotage narrativo utilizzato per innescare la storia dei personaggi che li hanno ordinati e che in qualche modo ne sono rappresentati.
Alcuni buffi, altri ingenui o serissimi, i personaggi mettono a nudo le proprie fragilità, i rimpianti e le nostalgie, condividendo episodi di vita che hanno cambiato (o cambieranno) le loro esistenze con alcuni clienti abituali e vagamente caricaturali – una sorta di coro che rinforza l’affezione dello spettatore alla serie.
Si tratta di un’umanità variegata, ricca di debolezze e di contraddizioni, inconsapevole narratrice di racconti universali che valgono senza dubbio la pena di essere ascoltati: storie di rinunce, di fallimenti, metamorfosi, fantasmi del passato, drammi familiari, sogni e amori, ma che si concludono sempre con una svolta, o perlomeno con l’apprendimento di una preziosa lezione.
Tra ingredienti che sfrigolano nelle padelle e altri che sobbollono, la tavola calda diventa un crocevia di incontri, un luogo dove il tempo pare sospeso e dove poter fare i conti con i propri problemi, ambizioni e ossessioni.
Al suo interno il Master è una figura fondamentale, incarnazione perfetta dell’anti-chef moderno. A volte sullo sfondo ma sempre presente, si limita ad ascoltare i propri avventori, non giudica, è riluttante a rispondere quando i clienti lo coinvolgono nei loro affari, ma interviene con garbo e risolutezza quando è necessario, assolvendo il ruolo di deus ex machina.
Midnight Diner non è la prima serie nipponica della piattaforma di streaming: preceduta da Hibana – Spark, rappresenta infatti il secondo esperimento giapponese di Netflix su scala internazionale. Considerati i risultati ottenuti, pare probabile la distribuzione di una terza stagione. Intanto ciò che resta di questi primi venti episodi è una rassicurante sensazione di pacificazione con la vita. E una fame, un’insaziabile fame di storie.
Valerio Ferrara
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