L’ultimo nato in casa Neo Edizioni è un volumetto agile sui drammi di una giovane professionista all’indomani di un licenziamento inatteso.
Nina è il suo nome. Donna di successo, una vita per il lavoro, fra le più brave nel suo campo. Organizza eventi.
Il problema è proprio questo: non ha altro che il lavoro. Quando lo perde – senza motivo, le solite ragioni di tagli al personale – riecheggia nella sua mente la solita vecchia domanda: e adesso? Cosa resta?
Il primo, grande tema che emerge dalla lettura de Le affacciate di Caterina Perali è la duplice esistenza nella società contemporanea. È forse il nodo centrale. Nina perde il lavoro, sì, ma non lo sa nessuno. Continua ad aggiornare i social con narrazioni ed espedienti, così che tutti coloro che sono al di là della sua casa, del letto e dei chiodi che continua a contare nelle travi sul soffitto, continuino a pensare che la sua vita procede nel migliore dei modi.
Nemmeno la sua migliore amica – un’amica che non vede mai, perché gli impegni sono tanti, perché forse non c’è davvero la volontà di attraversare quello spazio digitale che ci divide sempre più – viene messa al corrente della novità. Anche lei è bersaglio di piccole bugie e sviamenti, e il motivo è semplice: per Nina aver perso il lavoro significa vergogna. Il dialogo con Anna attraversa l’intero romanzo con le chat di WhatsApp che le due costruiscono con i più svariati argomenti.
La doppia vita, però, non è solo fra digitale e analogico. La parte centrale del romanzo è una cena che Nina fa – malvolentieri – con una sua vicina di casa e delle strane signore. Ed ecco che ognuna di loro tira fuori una storia che non corrisponde necessariamente (o non corrisponde affatto) a ciò che Nina aveva immaginato, alle sue aspettative, all’idea che si era costruita di loro.
Svetlana, per esempio: doveva essere la profuga di guerra, in fuga dopo Sarajevo per cercare una vita migliore. Doveva esserlo al punto che Nina si presenta alla cena con una maglia bucata, perché anche lei sapesse di sacrifici e rinunce. Ma Svetlana è una migrante economica. E così la storia della signora Adele, che si capovolge del tutto agli occhi della ragazza.
Questa parte – la cena – assume una connotazione così forte e duratura che si ha l’impressione che la storia di Nina sia solo un pretesto narrativo, una cornice, e che Caterina Perali abbia in realtà sfruttato lei e la storia del precariato per raccontare le storie di Adele e Svetlana. Forse anche un romanzo ha due vite. Le vite, in fondo, sono sempre due.
Maurizio Vicedomini
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