Da oggi in libreria Moonlight Motel, Parigi di Sergio Gilles Lacavalla (Wojtek Edizioni).
In anteprima per Grado Zero, il prologo.
Non c’è vita, esiste soltanto la guerra
L’amour braque, Andrzej Zulawski
All the uniforms are shit
All the ideals are shit
Bastard Angel, Spiritual Front
Jesus died for somebody’s sins but not mine
Oath/Gloria, Patti Smith
Jeanne era la mia unica amica. Quando tutto accadde, ormai dieci anni fa, avevo dodici anni. Ma ricordo ogni cosa. Ogni azione, ogni parola, gli sguardi. Mi capita di svegliarmi in piena notte, mi alzo e mi prendo qualcosa da bere, infilo un disco nel lettore. La penso così intensamente che posso quasi sentirla vicina. In certe albe, quando fuori fa freddo e pure qui dentro, faccio lo stesso. Mi metto davanti alla finestra e aspetto che il cielo si schiarisca: che il buio si apra poco per volta come una sorpresa svelata dal sole o dalla pioggia. Fumo con calma una sigaretta, intanto la musica sommessa mi accarezza come mi accarezzava lei. A Jeanne la mia musica piaceva: le mettevo un disco e lei riusciva ad andare avanti.
Fa freddo anche adesso. Il cielo è grigio di nuvole. Rowland S. Howard canta Shivers e, nonostante l’aria scura e rarefatta, nonostante questa canzone, non sono triste. Da qualche parte sento ancora male, ma non sono triste. Lo sarei se non riuscissi più a pensare a Jeanne come la penso adesso. Sarei vuota. Il vuoto è l’unica cosa di cui ho paura. Jeanne mi ha detto che non devo avere paura. Mai. Di niente.
Mi chiamo Milla Pfaff Reims e vi dirò di Jeanne e dei suoi giorni. In realtà non racconterò nulla, mi limiterò a mettere in ordine questi fogli sparsi – qualche pagina si è persa di sicuro. Perché lo faccio? Quanto è successo ieri, forse, ha riportato in strada per pochi istanti l’ultimo doloroso residuo di quel periodo. O è stato invece l’articolo sul giornale di questa mattina, e in giro continuo a sentire troppe voci bugiarde parlare di lei. Non la lasciano in pace neanche adesso, e non sopporto di vederla bruciare ancora. Non in tutte quelle voci brutte. Qual è stato l’inizio? Forse un vero e proprio inizio non c’è stato: le cose sono avvenute come se non potesse andare diversamente. Si dice era scritto, e magari era scritto davvero tutto. Chissà però se lei lo sapeva. Di certo sapeva che quei giorni sarebbero finiti presto, perciò scriveva quello che le stava accadendo. Era proiettata verso l’abisso e cercava di delimitare lo spazio delle proprie azioni prima di sprofondare. Le sue parole sono aperte sul pavimento gelido, le rileggo dentro di me per scaldarmi un po’. Non aggiungerò niente ai suoi sguardi sparpagliati per terra a riflettere la luce di questo mattino di ferro e ricordo umido di pioggia; il giorno si infila dentro insieme al freddo. La leggo perché ho freddo. Jeanne sapeva riscaldarmi: le parole sono tutto ciò che mi resta di lei.
No. C’è pure l’anellino che portava al piede e ora è sul mio e Jeanne è nel mio cuore e io ho freddo e ho voglia di piangere.
Jeanne mi manca.
©Wojtek Edizioni
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