Mercoledì. 21.55
Non guardarli. Trovati qualcos’altro da guardare.
Forse sarebbe stato meglio non venire di fuori.
Guarda le piante (quanto tempo è che non le innaffio?). Sì, le piante. L’importante è non guardare di fronte, e far finta che anche loro non mi stiano guardando. Probabilmente, non mi stanno guardando affatto. Come potrebbero far caso a me? E se mi avessero visto, e volessero che tornassi dentro? Certo che mi hanno visto! Tra il nostro balcone e il loro ci saranno sì e no tre metri. Forse quattro, non lo so, non sono mai stato bravo con queste cose. Però scommetto che se gli allungo un bastone, di quelli da passeggio, e loro tendono la mano di là, riescono a toccarne l’altra estremità. No, non è possibile. Ci vuole più di un bastone. Davvero siamo così vicini?
Certo è che mi hanno visto, anche se non gli importa che ci sia anch’io. O magari gli importa e considerano la mia presenza qui, sul balcone di fronte, come un’invasione della loro privacy. Non gli si può chiedere di starsene dentro a piangere, dovrei essere io a lasciargli terreno. Forse tutti noi, inquilini del condominio dirimpetto, dovremmo rinunciare agli avamposti dei nostri balconi, almeno finché il fuoco delle loro lacrime non sarà cessato. Piangere è una cosa che non si può fare dentro, al momento. Però non mi va di fumare in casa. Non ho abbastanza difese per corazzarmi anche contro mia madre. Preferisco l’imbarazzo dell’occupazione temporanea del balcone. Che è pur sempre il mio balcone. Perché dovrei andarmene, io? Di quanto spazio ha bisogno il loro dolore?
Mercoledì. 21.58
Forse non dovrei mettere più piede là fuori per un po’. E magari dovrei anche girare il televisore. Potrebbe sembrare irrispettoso se ci sorprendessero a guardare la tv, e comunque non mi va che vedano quali programmi seguiamo in casa nostra. Sempre lì, sul loro balcone, a versar lacrime e a fumare, tutto il giorno. Chi mi dice che non gettino un occhio dentro il mio soggiorno e non guardino la nostra tv attraverso i vetri? E se pensassero che sia insolente seguire i quiz show a tre metri da loro (quanto sarà lungo il bastone di mia nonna?) e un giorno mi dicessero: «Sei tu quello che rispondeva alle domande alla tv mentre nostra madre stava morendo»? Ma non possono sentire anche la mia voce, da laggiù (ma non erano soltanto tre i metri a separarci). Forse è il caso che abbassi il volume.
Mercoledì. 23.11
La ragazza carina sta sempre immobile, quando viene di fuori. Sceglie un punto e ci si ferma, le braccia conserte e una mano alla bocca a mangiarsi le unghie. Le strappa via a morsi, e le sputa davanti a sé. Di questo passo non avrà più le dita prima che tutto sia finito. Doveva essere più breve, la faccenda della madre. L’ho sentito dire dalla signora che strabuzza gli occhi (pare che sia perché non dorme da giorni, anche questo l’ho sentito dire).
Il padre della ragazza carina invece non si ferma mai. Esce a svuotare nella pattumiera i piatti con gli avanzi di cibo, prende la scopa, posa la scopa, arriva in fondo dove c’è il mobiletto bianco che contiene bicchieri di plastica, piatti di plastica, posate di plastica, bottiglie di detersivo (in plastica), torna dentro, esce ancora, rovescia un posacenere nella spazzatura, mormora qualcosa perché qualcuno ha buttato un foglio di alluminio nel sacco dell’indifferenziato, e sta lì a rovistare nell’immondizia finché l’ordine nell’universo del riciclaggio non è ristabilito. Chi mai potrebbe tenere tutta quella roba fuori a un balcone, oltre a loro? Sembra che lo facciano apposta per avere una scusa per andare di fuori. Ho contato almeno dieci motivi che hanno per aprire la porta della cucina e uscire sul balcone. È giusto che loro possano ancora approfittare dell’unico spazio all’aria aperta che sia concesso alle nostre abitazioni, mentre io debba considerare le imposte del mio soggiorno come la linea di confine tra il mio territorio e il loro?
La ragazza carina si sta guardando le mani. Pare che non ci sia più nulla da tirar via, no, aspetta, ecco che un altro brandello se ne va. Il suo viso dolce fa a schiaffi con l’aria irritata di chi potrebbe lanciarti contro un bicchiere e rompertelo in testa in qualunque momento. Scommetto che l’ha fatto. Neanche quando piange sei sicuro che voglia essere abbracciata, e lei piange spessissimo.
«No, mamma, non sto fumando in casa!». Cazzo.
Giovedì. 01.21
C’è agitazione, nella casa di fronte. Tutta la famiglia è corsa verso la stessa direzione. Mi ero quasi addormentato. La ragazza carina è sparita nel corridoio. Sono andati tutti dietro di lei, meno il padre. Lui è rimasto a rovistare tra i mobili della cucina, come se abbia altro da fare che unirsi al via vai. Dalle fessure della tapparella non riesco a vedere cosa stia facendo.
Giovedì. 01.29
Un ragazzo con una valigetta è entrato in casa. Quanti anni ha? Sarà un medico? La valigetta non sembra quella di un medico. Non credo di aver visto molte valigette da medico prima. Va dritto verso il corridoio. Gli altri tornano indietro. Questi minuti li hanno sfiniti (Quanto tempo sono stati di là?). La signora che strabuzza gli occhi ha in mano un sacchetto di plastica, di quelli della spesa, e lo getta nella spazzatura. Manca solo la ragazza carina all’appello. Dovrei tornare a dormire? Non è forse irrispettoso anche questo, dormire quando loro non possono? Vorrei fargli sapere che anch’io sono sveglio, da quest’altra parte della barricata, e che le mie ore di sonno andranno perse insieme alle loro. Non è vanamente crudele, perdere tutto quel sonno e piangere tutte quelle lacrime?
Giovedì. 01.57
Il presunto medico sta entrando in cucina. Attrae immediatamente un uditorio fremente intorno a sé. Riesco a sentire soltanto «cinquanta» e «borsetta». Cinquanta cosa, poi? Gli anni della signora a letto? Mi pare che sia più grande di così. Che siano i grammi della roba che le ha somministrato? Forse morfina? Era questo che teneva nella valigetta? La morfina si misura in grammi? Ma forse non era neanche «cinquanta». Probabilmente ha detto «ce n’è tanta», ma neanche questo mi è d’aiuto nell’interpretazione. Il ragazzo vestito bene sta chiedendo qualcosa – il ragazzo vestito bene è il fratello della ragazza carina. Sarà forse per qualche ragione che riguarda la «borsetta»? Anche il fratello di mio padre ne aveva una. Quando gli collassò il fegato – o il rene, o l’intestino, uno di quegli organi da quelle parti – gliene misero una, non ho mai capito bene cosa dovesse contenere. Ricordo che negli ultimi giorni aveva un respiro inumano. Non avresti mai detto che fosse una persona a produrre quel rumore. Somigliava al suono che fa l’acqua quando la metti a bollire. Potevi entrare nella stanza e chiedere «chi ha messo su l’acqua per il the?». Chissà se anche la signora a letto fa quello stesso rumore. Logico che, poi, nessuno riesca a dormire. Se potessi vederla per un minuto, andare da lei, le direi di smetterla di tenerci tutti svegli. Le direi: «Adesso vai. Farebbe bene a te, e a noi. È inutile star qui a perder tempo, non possiamo fare più niente per te. Se potessi andartene più in fretta, per favore».
Giovedì. 02.35
Gli inquilini abituali della casa di fronte sono tutti accampati da qualche parte. Adesso sono diventati quattordici, con l’aggiunta del presunto medico. L’unico in piedi – mi sembra – è il padre. Sta bevendo una tazza di latte (latte?) in cucina, come se il ragazzo vestito bene e sua moglie non fossero crollati con la testa sul tavolo proprio davanti a lui.
Giovedì. 21.01
«Cominciate a mangiare, mà, vengo tra un po’».
A mamma non è piaciuta la proposta di cenare in cucina, per stasera. Crede che lo faccia per qualche forma di ossequio nei confronti della famiglia di fronte. Ha ragione, ma non posso dirglielo. Direbbe che sto esagerando, e che già è troppo l’aver voltato il televisore. L’ho anche spostato un po’ più in là, lontano dagli infissi del balcone (se ne sarà accorta? Non ha detto niente). Non le piace rinunciare al suo posto sul divano, la sera. Neanche a me, cosa crede?, ma cos’altro potremmo fare? Cenare davanti a loro, non se ne parla poi. Figuriamoci. Loro, che possono vederci – che ci vedono, come noi li vediamo. Li vediamo digiunare, non fosse per il caffè. La signora bionda ne prepara in continuazione. Meno dormono e più si adoperano per rimanere svegli. Una punizione autoinflitta. E fumano, a ogni tazza. Anche questa è una condanna (possibile mai che non ci pensino?). Viene da smettere persino a me. E si aspettano che mi sieda a tavola a mangiare. Mangiare! Con tutto quel parlare di secrezioni corporee, e di muchi, e ancora quella «borsetta». È di questo che si tratta, è questo che trasporta la signora che strabuzza gli occhi nel sacchetto di plastica? Borsette cariche di liquidi fuoriusciti da chissà quale fossa scavata nel corpo della signora a letto? Il formaggio fuso nel mio piatto potrebbe avere la stessa consistenza di un organo consumato. Che ne so io di un organo consumato? Niente. Non dovrei pensare a queste cose.
Giovedì. 23.17
La ragazza carina è di nuovo fuori al balcone a rovistare gli scampoli di unghie con i denti. Spiacente, sembra non ce ne siano più. Le due api operaie le ronzano un po’ intorno, ogni tanto si allontanano, ma poi ritornano subito. Devono essere imparentate, tutt’e tre, perché sono identiche. Le api operaie servono la ragazza carina con devozione. Di quando in quando qualcuno degli altri le si avvicina – il fratello, la signora coi capelli biondi, l’uomo con gli occhiali. Soltanto la signora che strabuzza gli occhi non si vede mai, se non quando trasporta il sacchetto che finisce nella spazzatura. Le si avvicinano, e le passano una mano sulla testa. Pare che nessuno si accorga di quanto le risulti fastidioso il contatto delle loro mani sui suoi capelli. Non ne sono sicuro, a questa distanza, ma credo che lei si ritragga leggermente. Giurerei di averglielo visto fare tutte le volte. Possibile che loro non lo vedano? O forse lo vedono e pensano di doverlo fare ugualmente. Chi gli dice cosa è appropriato fare, cosa è adeguato dire a una ragazza costretta ad ascoltare attraverso le pareti il rantolo in simil-acqua-che-bolle della madre? Dio, fa che non debba mai incontrarla nei giorni a venire, e non debba dirle «mi dispiace» o «comprendo il tuo dolore» e tutte quelle altre cose che solo a dirle ti senti un pezzo di merda, ma se non le dici lo sei davvero. Non sarebbe meglio che uscissi lì fuori adesso, e mi togliessi questo peso, una volta per tutte? Basterebbe anche solo un gesto della mano, un mezzo sorriso, per far capire che lo sento, lo percepisco, che ho smesso di guardare la tv in soggiorno per loro, e che grazie a loro ho smesso di fumare quando sono a casa. La gente dovrebbe attaccarsi addosso un cartello: sarebbe poco pratico, ma aiuterebbe.
STIAMO SOFFRENDO. NON ROMPETE I COGLIONI.
E uno saprebbe che non si deve avvicinare. Stanno rientrando in cucina. L’ape operaia più grande chiude con forza le finestre. Non avrei dovuto guardare.
Giovedì. 23.29
Mi dispiace. Ho provato a digiunare con voi. Ce l’ho fatta per un paio d’ore, fatevelo bastare. Il mio formaggio è diventato una plastilina ruvida e informe.
Venerdì. 21.11
Non la vedo più, la ragazza carina. Un giorno. Posso riconquistare terreno alla mia proprietà. Cos’è successo, al mio balcone? Sembra diverso. Forse è ancora presto per uscire. Ma finché di fronte non c’è nessuno… Al più tardi, domani mamma rimetterà il televisore al suo posto. Forse anche stasera. Non vedeva l’ora. Quanto sa essere indelicata. Forse ha ragione lei. Nessuno ci ha detto come avremmo dovuto comportarci. Sono stati qui di fronte per due settimane e non abbiamo saputo cosa si aspettassero da noi. Forse spostare la tv è stato sufficiente. Chissà se tornano, stasera. La ragazza carina non dovrebbe rimanere da sola con suo padre. Cosa si diranno? Da quattordici a due. Quindici, se contiamo la signora a letto, ma lei già non parlava più da giorni.
«Rimetto a posto la tv».
«Va bene, mà».
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