C’è una fetta della critica di inizio secolo scorso che di fronte alla Coscienza di Zeno di Italo Svevo storse il naso perché all’interno vi riscontrava una cattiva applicazione dei principi della psicanalisi. Quelle rimostranze, per dirla con Miguel de Unamuno, più che dal ‘critico’ erano mosse dallo ‘storico’ cioè da «quei pover’uomini che maneggiano la critica come un setaccio e si mettono a puntualizzare, carte alla mano, se un tal caso fu o no come si dice che sia stato, senza rendersi conto che il passato non esiste più e che a esistere è invece soltanto ciò che agisce». Perché anche se è vero che la psicanalisi chiamata in causa dal triestino presenta dei limiti – è inflessibile, dogmatica e insieme scardinabile, interpretabile e, soprattutto, riscrivibile – al contempo permette a Zeno, attraverso il suo filtro, di avere una profonda comprensione delle cose. D’altronde la storia della letteratura è ricca di esempi dove l’intensa convinzione del singolo diventa paradigma di riferimento per l’interpretazione del mondo fuori: è accaduto alla signora Bovary, poco prima ad Alonso Quijano nelle vesti del cavaliere Chisciotte, e chissà a quanti altri. Certo è che ognuno ha dei riferimenti culturali utili a definire il proprio modo di agire nel mondo, ma questi – narrativi – sono casi in cui il filtro è unico, non accetta compromessi e procede ostinato nella lettura degli eventi. Ora, immaginate un romanzo dove ogni personaggio si muove secondo la propria teoria e lasciate che ognuno di questi agisca, e lasci procedere la trama, attraverso gli incontri-scontri possibili tra le parti. Ecco, il risultato è Teorie della comprensione profonda delle cose di Alfredo Palomba (Wojtek, 2019).
Nel romanzo “Teorie della comprensione profonda delle cose” è un dissacrante blog dove la materia umana è analizzata, o quantomeno esposta, secondo i suoi aspetti più crudi, i più bui e tuttavia inconfessabili. L’autore è Alfredo il Pelato – alter ego dell’altro Alfredo, Palomba, quello fuori dalla pagina e con la penna in mano, calato nella narrazione per tenere le fila tra i personaggi-teoria – è dottorando in Letterature Comparate e insegnante di ripetizione del giovane Max, un adolescente dalla spiccata intelligenza tenuta, però, ben nascosta a insegnanti e genitori. L’incontro dei due, nato dalla necessità del primo di guadagnare qualche soldo in più per arrotondare, e dal desiderio del secondo di conoscere di persona l’autore dell’irriverente e scandaloso “Teorie”, è il motore che permette alla narrazione di aprirsi e quindi svilupparsi nel racconto delle vicende di Paesone, cittadina un po’ provincia un po’ metropoli, dove tutto sembra procedere placidamente nonostante i suoi originali abitanti: su tutti l’aspirante poeta senza talento, Toni Dattero, e un tossicodipendente che si crede cavaliere errante, don Pagnotte. In questo universo multiforme, dalla sterniana indole digressiva, l’unico atto concesso al lettore è quello della piena e incontaminata fiducia. Così infatti l’autore si pone verso chi legge:
Affidati, lettore, affidati e lasciati guidare. Sospendi per un attimo i dubbi, porta pazienza, divertiti, immergiti. Smarrisciti perfino, qui e più avanti, senza però mai perderti d’animo. Non so ancora come ma, in qualche maniera, ne verremo fuori.
Teorie della comprensione profonda delle cose è un romanzo atipico, multiforme, dall’architettura composita: misto di generi e lingue e voci. È un esordio in cui Palomba dimostra fin da subito quanto è estrosa la sua penna e di saper adattare alla lingua le proprie esigenze finzionali; interponendo narrativa, saggistica, cultura alta e bassa, giocando di volta in volta con gli stilemi dell’una e dell’altra. Il tutto fortemente a servizio dell’azione e delle teorie che animano i personaggi. Perché, proprio come lo Zeno sveviano, i personaggi di Palomba si muovono sulla scena seguendo intime convinzioni. E che siano più o meno corrette queste permettono a ognuno di essi di esistere; forse addirittura di sopportare lo stare al mondo. Non a caso la “falsa” psicanalisi sveviana è comunque cura, o almeno così sembra, per l’inettitudine di Zeno. Emerge quindi, da Teorie, tra i vari temi, quasi come fosse un’esigenza, l’idea che sia necessaria – per vivere, diciamo – almeno una comprensione profonda delle cose, ma non che questa debba essere per forza esatta. Anche l’errore perpetrato – vedi don Pagnotte che si crede cavaliere errante o l’idea di sé che alimenta l’ego di Toni Dattero – può essere lenitivo della condizione umana. Paesone (luogo-mondo) è come ogni luogo contemporaneo fortemente esposto a dati e informazioni, un guazzabuglio per nulla districabile ma affrontabile se attraversato avendo come bussola il proprio sistema di valori.
Gli strati che compongono Teorie della comprensione profonda delle cose sembrano condurre a un alto livello di complessità, ma ciò che Palomba riesce a fare, con destrezza, è porre la lente d’ingrandimento su un aspetto peculiare del nostro tempo, così frammentato e imparziale, cioè che esiste un minimo comun denominatore dell’essere e consta tutto nella maniera e nel punto di vista da cui guardiamo e comprendiamo ciò che ci circonda.
Antonio Esposito
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