Racconto: L’orologiaio – Roberto Arlt
Pubblichiamo oggi un racconto di Roberto Arlt tratto da Acqueforti di Buenos Aires (trad. di Marino Magliani, Del Vecchio, 2014), una raccolta di immagini e suggestioni sul cambiamento della città.
Ringraziamo l’editore che ci ha permesso di condividerlo.
Se c’è un mestiere strano questo è senza dubbio quello dell’orologiaio, perché sembra che gli orologiai non abbiano studiato l’orologeria ma siano venuti al mondo con la conoscenza innata della professione.
E la ragione è evidente. Oggi conversavo in autobus con uno sconosciuto (un signore che è risultato essere un vero e proprio orologiaio, non un ladro di orologi), e questi mi ha detto:
– Il mestiere di orologiaio non si impara. Si beve col latte materno. E dopo averlo ereditato col sangue bisogna fare pratica un infinito numero di anni per dominare perfettamente i meccanismi, dato che altrimenti si possono rovinare i componenti, invece che assemblarli.
In accordo al suo ragionamento, gli ho risposto:
– L’orologiaio dev’essere allora una bestia rara, anzi un “uccello raro”…
– No, signore, nient’affatto. Al contrario: il mestiere è pieno di praticanti e se ne renderà conto leggendo sui giornali le pagine degli avvisi. Non si cercano mai orologiai. E se non si cercano è perché avanzano. La professione è destinata a perdersi. Le dico solo che sono rimasto senza lavoro, cercando un posto da orologiaio, che è il mio mestiere. Alla fine adesso mi sono sistemato e mi sono specializzato nel campo delle sveglie.
– Come? Nel mestiere ci sono delle specializzazioni?
– Sì, signore. Prendiamo come esempio un uomo che prima di fare l’orologiaio ha fatto il maniscalco. Per quanta pratica abbia nell’arte di ferrare i cavalli, è inutile, non servirà a quel lavoro minuzioso e delicato, per assemblare e riparare orologi da polso per signore, con i loro pezzi microscopici. Lo stesso è capitato a me. Prima di essere orologiaio sono stato un calderaio e ovviamente ho dovuto farci la mano.
– Sì, ovviamente.
– Bene. Io sono un tipo modesto e non pretendo abiti di lusso. Per questo mi sono specializzato nel campo delle sveglie.
– E si guadagna?
– Poco.
Dopo essermi allontanato dall’orologiaio seccatore, sono rimasto a pensare a questa corporazione misteriosa, proprietaria del tempo. Sono rimasto a riflettere, perché più di una volta, camminando per strada, mi sono fermato, perplesso, davanti a una vetrina, guardando un tipo, molto spesso di origini ebraiche, che con un tubo nero negli occhi sistemava orologi con l’aria di chi rifà la suola a uno stivaletto. E non so come mi è venuta in mente l’idea che gli orologiai, in fondo, devono essere tutti un po’ anarchici e fabbricanti di bombe a orologeria.
Perché nei romanzi di Pío Baroja, gli orologiai se non sono anarchici sono almeno filosofi. E un orologiaio filosofo o anarchico non fa una brutta figura. In Russia, almeno all’epoca dello zarismo, tutti gli orologiai erano sindacalizzati e considerati semirivoluzionari.
Perché in fondo il lavoro di assemblare orologi è un lavoro filosofico.
Innanzitutto serve la pazienza di un beato o di un angelo per accollarsi un lavoro tanto minuzioso e preoccuparsi che tutto funzioni bene nel tempo.
Poi serve una certa tristezza esistenziale.
Perché vi ricorderete che questo lavoro da gobbi e da ciclopi (poiché si lavora con un solo occhio) è opprimente.
Quasi tutti gli orologiai sono pallidi, lenti nei modi, silenziosi. Le statistiche della polizia non parlano mai di casi di orologiai criminali. Ho prestato bene attenzione ai dati.
Al massimo, quando si arrabbiano a casa, tirano due pedate alle mogli. Ma in questo caso bisogna che la moglie sia parecchio perversa, perché altrimenti non si scompongono mai.
Non si muovono né per il buono né per il cattivo vino. Attraversano la vita come creature monacali, misteriosi e cauti, colmi di un silenzio d’oro.
In altri tempi il mestiere di orologiaio era un lavoro pieno di condizioni misteriose e quasi sacre. Se non mi sbaglio, Carlo V quando si allontanò dalle illusioni mondane e dai suoi sfarzi, si ritirò in un convento a rovinare orologi.
E gli astrologi del passato conoscevano quest’arte meccanica e quasi magica. Ricorderete che sotto il regno di Ivan il Terribile un orologiaio assemblò un apparato che si pretendeva volasse. E anche il papa Silvestro III era un orologiaio amatoriale e teneva nei suoi giardini un uccello meccanico che cantava da un albero di smeraldi. È certo anche che Silvestro III avesse fama di essere un poco mago e che coltivasse le scienze occulte, ma in quell’epoca qualsiasi arte un poco delicata era considerata una forma di stregoneria.
Per questo gli orologiai contemporanei conservano nella propria anima una sorta di nostalgia del prestigio che li circondava ai tempi della Piccola chiave di re Salomone.
Oggi gli orologiai si fanno una posizione nella nostra città a costo di dure fatiche. A parte gli aristocratici dell’orologeria, il resto si ritrova relegato in ignobili stamberghe dove devono combattere contro orologi economici e di serie, pieni di difetti e che richiedono un lavoro spaventoso per evitare che segnino le dodici con un’ora di anticipo.
Sono scesi di categoria e si possono quasi paragonare ai ciabattini di strada, loro che “hanno avuto bisogno di nove anni di studi teorici e pratici”.
Roberto Arlt