Gorilla Sapiens chiude. Un omaggio tramite “Volevo fermarmi a tre righe ben scritte” di Carlo Sperduti
È bene partire da un dato fondamentale: Gorilla Sapiens chiude. E chiude, cioè, un progetto caparbio nel ritagliarsi la propria indipendenza e nel costruirsi un’identità assolutamente originale, tanto per le opere proposte quanto per l’estetica dei volumi. Letteratura umoristica – considerata soprattutto nella dimensione del racconto – microfinzione, giochi linguistici raffinati e metaletterari: indirizzi di collana molto delicati per resistere alle temperie editoriali italiane, ma che sono riusciti a trovarsi, nel tempo, un nucleo appassionato di seguaci.
Volevo fermarmi a tre righe ben scritte di Carlo Sperduti, autore molto presente nel catalogo Gorilla, funziona bene come campione rappresentativo per un omaggio, o epitaffio, alla casa editrice.
Mini-universi paradossali
Uscito nella primavera del 2019, il libro è una raccolta di microracconti della lunghezza massima di mezza pagina, tutti incentrati su situazioni paradossali, surreali o metaletterarie. Il senso sperdutiano della narrazione, qui, è basato sulla rapidità e la concentrazione del racconto, che funziona come squarcio improvviso nell’ordine delle cose.
Non è possibile rintracciare uno schema fisso all’interno della varietà stilistica e tematica dei racconti presenti (centocinquanta), ma si può osservare un espediente abbastanza ricorrente, ed efficace: quello di una condizione sine qua non posta dall’incipit – spesso assurda – partendo dalla quale il resto del racconto costruisce una ministoria che obbedisce alle condizioni indicate in partenza, e le amplifica, finendo spesso per montare un intero (mini)universo regolato su quelle leggi (impossibili, o almeno improbabili).
Prendiamo ad esempio Ventiquattro angurie e una confessione. La ratio postulata in apertura è questa: “Come faccio solamente di rado, mi sono recato dal fruttivendolo con intenzioni pacifiche.” (p. 18). Si nota già dalla prima riga una deformazione di fondo, una sovrapposizione e interferenza – quindi contrasto – tra due ordini di comportamento che appartengono a scale di valutazione indipendenti e incomunicabili: andare dal fruttivendolo (azione misurabile come “umile” in una ipotetica scala “grandiosità di un’azione”) e non avere intenzioni pacifiche (azione misurabile come “negativa” nella scala “qualità emotiva con cui è condotta un’azione”).
Insomma, secondo quale assurda logica (estesa per giunta ad altri momenti non raccontati, con quel “Come faccio solamente di rado”) uno dovrebbe dirigersi minaccioso dal fruttivendolo? Il resto del racconto porta avanti questo meccanismo di per sé stridente (su un piano logico) fino a un dilagare generale di azioni paradossali, agli occhi di chi legge, ma coerenti con l’incipit: il protagonista tasterà tutte le angurie finendo per far innervosire il fruttivendolo e ritrovarsi in tribunale.
Il comico come frantumazione del λόγος
Ripensando al comico come avvertimento del contrario, allora, in accezione pirandelliana, possiamo notare che anche Sperduti orienta spesso il meccanismo fulminante del racconto verso l’interferenza, quindi la percezione, dei contrari. L’effetto comico scaturisce dalla frantumazione del λόγος atteso dal lettore, attraverso la fondazione di un nuovo pseudo-λόγος di marca surreale che è valido solo nello spazio-tempo del racconto, ma, fuori, genera l’avvertimento del contrario.
Va da sé che un’impostazione di questo genere (comunque solo esemplificativa, che non esaurisce tutti i montaggi possibili proposti dal libro), può essere facilmente declinata verso temi e toni anche molto diversi fra loro. In ottica “metalinguistica”, ad esempio, un racconto come Due sopra due sotto oppure infiniti conferma proprio la teoria della fondazione di un universo regolato secondo altre leggi, a seguito dell’affermazione di un contrario. L’incipit: “Mio padre il lettore ha detto camerista: non cameriera mio padre il lavoratore ha ricordato Assunta, e il mondo per come lo conoscevo è in un istante finito.” (p. 74).
Ma non si escludono anche percorsi più enigmatici, non necessariamente esilaranti, dove l’onirico è affrontato di per sé, per pura esplorazione dell’Altro dimensionale, come nella natura misteriosa e nostalgica di Il silenzio a quindici anni.
Enciclopedia del comico
Volevo fermarmi a tre righe ben scritte, insomma, esplora le forme possibili del racconto umoristico (includendo inoltre un’appendice di Cose da dire in società, sequela, anche questa, di ribaltamenti di proverbi o espressioni usuali), di cui coinvolge, però, anche gli angoli più spettrali, e ingloba, volendo attenersi ancora alla formula pirandelliana, anche il sentimento del contrario, cioè ciò che fa emergere, dietro l’evento nonsense, qualcosa di malinconico e oscuro. Nella versatilità delle storie, allora, possiamo vedere questo libro – concedendoci anche noi una storpiatura – come una sorta di mini-Enciclopedia delle scienze umoristiche in compendio.
E certamente, anche, come uno degli ultimi episodi di una casa editrice coraggiosa di cui si sentirà la mancanza.
Antonio Francesco Perozzi