PULP – Una storia del XX secolo
Scavando nelle biografie delle rock band ci si imbatte spesso nella miscellanea di generi musicali preferiti dai singoli elementi (il batterista cresciuto a pane e Jethro Tull, il bassista amante del jazz, il cantante devoto a Tim Buckey, il chitarrista fedele suddito di Robert Fripp…), diversità che paradossalmente pongono la base del suono nella band in questione.
Spore
L’opera postuma di Bukowski (Pulp, ed. Feltrinelli, 1995) include molti generi in dissonanza tra loro creando un romanzo pasticciato (pasticcio inteso come il Pulp del titolo) ma intrigante. Di più: a fine lettura Pulp smette coll’essere un romanzo e sublima in milioni di spore, e proprio come il pod infetto di eXistenZ (Cronemberg, 1999) si espande nell’universo letterario e culturale contemporaneo creando più o meno volontariamente contaminazioni future. Bukowski sembra quindi raccogliere in sé quei diversi componenti di una rock band mentre va a sintetizzare le varie voci che compongono i suoi racconti con un ultimo romanzo.
Nick Belane, il dritto di Los Angeles
Pulp narra di Nick Belane, detective statunitense alle prese con i cliché tipici del noir: il conto in rosso, tre matrimoni disastrosi, le scommesse all’ippodromo, l’assuefazione alcolica, l’adipe in espansione, il desiderio dello scontro… Il personaggio si spinge però oltre alle solite situazioni da detective, andando a spurgare il suo essere disilluso per abbracciare la fine attraverso una scrittura lucida, smaniosa di fare a botte con lo stesso Nick Belane. La forza di Pulp risiede nei pensieri del protagonista, il quale si diverte a disseminare aforismi lungo le indagini, spore in attesa di germinazione.
“Ero dotato, sono dotato. A volte mi guardo le mani e mi rendo conto che sarei potuto diventare un grande pianista o qualcosa del genere. Ma che cos’hanno fatto, le mie mani? Mi hanno grattato le palle, hanno scritto assegni, hanno allacciato scarpe, hanno tirato la catena del water ecc. Ho sprecato le mani.” (p. 13)
“Quand’ero alle elementari avevamo una maestra che ci chiedeva: «Che cosa volete fare da grandi?» E quasi tutti i bambini dicevano che volevano fare il pompiere. Erano dei tonti, ci si può bruciare. Qualcuno diceva che voleva fare il dottore o l’avvocato, ma nessuno diceva: «Voglio fare l’investigatore privato.». E adesso io lo ero. Oh, quando arrivava a me rispondevo: «Non so…». (p. 48)
“La gente aspettava per tutta la vita. Aspettava per vivere, aspettava per morire. Aspettava in fila per comperare la carta igienica, aspettava in fila per prendere i quattrini. E se non aveva quattrini aspettava in file più lunghe. Aspettavi per dormire e poi aspettavi per svegliarti. Aspettavi per sposarti e poi aspettavi per divorziare. Aspettavi che piovesse, poi aspettavi che smettesse. Aspettavi per mangiare, poi aspettavi per mangiare di nuovo. Aspettavi nello studio di uno strizzacervelli con una masnada di psicopatici e ti chiedevi se lo fossi anche tu.” (p.88)
Dedicato alla cattiva scrittura
Nick Balane è ciò che resta del giovane Holden dopo quarant’anni di sconfitte, e sembra davvero una sorta di testamento letterario (non a caso Pulp è splendidamente “Dedicato alla cattiva scrittura”). Esemplificativo il capitolo 22, due pagine-spore che introducono i dolori del vecchio Belane con “Mi svegliai depresso. Guardai il soffitto, le crepe che c’erano. Vidi un bufalo che travolgeva qualcuno. Pensi di essere io. Poi vidi un serpente con un coniglio in bocca. Dalle fessure dell’avvolgibile entrò il sole e mi disegnò una svastica sul ventre. Mi prudeva il buco del culo. Mi stavano tornando le emorroidi? Sentivo il collo rigido e in bocca avevo il sapore del latte andato a male” per concludersi con “Poi squillò il telefono. Lo lasciai suonare. La mattina non rispondevo mai. Trillò cinque volte poi smise. Ecco. Ero solo con me stesso. Per quanto fossi disgustoso era meglio che stare con qualcuno con qualsiasi altro tutti quelli che là fuori stavano combinando i loro piccoli trucchi e facendo i loro salti mortali. Mi tirai le coperte fino al collo e aspettai.” (pp. 78-79).
Dedicato alla cattiva scrittura, sì. Come no.
Luca Pegoraro