The Eddy: la vita “jazz” della periferia parigina
The Eddy è la nuova miniserie targata Netflix che vede al timone quattro eccellenze: l’autore Jack Thorne – showrunner della serie HBO His Dark Materials –, il premio oscar Damien Chazelle – già regista di fama per perle come First Man, Whiplash e soprattutto La La Land –, Alan Poul, produttore e regista di serie quali Six Feet Under e The Newsroom, e Glenn Ballard, pluripremiato compositore e produttore musicale.
A tempo di swing
L’intero arco narrativo di The Eddy si dipana in otto episodi, ognuno con il titolo di un personaggio che fa da fulcro al vortice tumultuoso degli eventi. Il protagonista è Elliot Udo (André Holland), un noto pianista in lotta con i fantasmi del passato, proprietario di un jazz club nel XIII arrondissement, in quella cosiddetta Périphérique che separa il centro da cartolina dalle banlieue.
E proprio nel melting pot di una Parigi multietnica la stoia di Elliot si incrocia, si scontra e si rimescola con quella del suo amico e socio in affari Farid (Tahar Rahim di The Looming Tower) e della sua famiglia, con quella della problematica figlia adolescente (una straordinaria Amandla Stenberg che già brillava ne Il coraggio della verità) e con le vite altrettanto turbolente dei membri della sua band.
Nel dramma esistenziale che avviluppa i personaggi, tra riprese nervose della camera a mano e uno script caotico e spiazzante, si inserisce poi una sottotrama crime (forse non del tutto riuscita) che arricchisce un ensemble già di suo decisamente naif.
Una scommessa vinta
Il progetto di The Eddy, di cui Netflix annunciò la produzione già nel 2017, è senza dubbio singolare e ambizioso: sottoporre al grande pubblico un’opera seriale che si presenti come un omaggio alla musica jazz (ma anche alla vita del musicista in generale) – tema caro proprio a quel Chazelle sul quale il colosso dello streaming ha voluto da subito puntare fortemente.
Senza dubbio i rimandi a La La Land sono evidenti: il The Eddy di Elliot appare come la naturale realizzazione del sogno di Sebastian di aprire un club tutto suo dove poter suonare ogni notte. Ma in realtà non ci troviamo affatto di fronte ad uno spin-off del musical di successo del 2016.
La serie non incornicia l’ambiente urbano in quella magia un po’ stucchevole della città californiana, ma coltiva l’anarchia di una metropoli europea dai mille volti, a tratti cupa a tratti radiosa, che straborda di vitalità e che scorre allo stesso ritmo frenetico della sua soundtrack.
Lunga vita al jazz!
Tutte le musiche e le canzoni, vero collante della storia, sono eseguite dal vivo: interamente composte da Glen Ballard ma soprattutto da Randy Kerber – virtuoso delle tastiere e musicista della band – queste mettono in risalto le doti canore e non solo attoriali della splendida Joanna Kulig (che aveva già cantato meravigliosamente in Cold War).
L’intreccio di lingue e accenti che si susseguono sullo schermo, però, finiscono per contaminare anche la musica, la quale, mischiando il jazz con il rap e le sonorità arabe, diventa essa stessa un personaggio che reclama i suoi spazi anche quando da diegetica si fa extradiegetica e accompagna i passi dei personaggi per le strade rumorose della città.
The Eddy è una serie difficile da etichettare, affascinante proprio per la sua inafferrabilità – così come il genere musicale che intende omaggiare. È una serie che somiglia a una lunga jam session alla quale assistere liberi da filtri o schemi precostituiti ma con la consapevolezza che potrebbe essere irrefrenabile alla fine il desiderio di voler urlare: “bis!”.
Valerio Ferrara