Il 15 maggio 1920 nasceva a Livorno Carlo Coccioli. La sua penna, che conta la produzione di circa cinquanta opere, fino a qualche tempo fa sembrava dimenticata, ma quest’oblio – come a volte accade in letteratura – è ingiustificato se si pensa alla stima di cui godeva da parte dei colleghi: Carlo Bo lo definì «scrittore alieno», Curzio Malaparte, riferendosi ai suoi dialoghi, disse che sono «taglienti, intensi, anche allucinanti», e Pier Vittorio Tondelli dichiarava di sentirsi «in totale armonia con la sua scrittura» al punto da dedicargli pagine memorabili nel suo Weekend postmoderno. Il pubblico di Coccioli, però, in Italia è sempre stato di nicchia e le sue opere, col passare del tempo, sempre più rare da intercettare.
A cent’anni dalla nascita, la riscoperta di Carlo Coccioli passa dall’editore Lindau che, col progetto Piccolo Karma, negli ultimi mesi si è impegnato a ripubblicarne l’opera. I titoli finora editi sono: Il cielo e la terra, L’erede di Montezuma, Uomini in Fuga, Budda e il suo glorioso mondo, Le corde dell’arpa e Piccolo Karma… e questo sembra essere solo l’inizio di un lungo percorso. Di fatto la vasta produzione di Coccioli, variegata per temi – definiti anche dalla vicenda biografica: il livornese è stato eroe della Resistenza italiana, per cui ricevette una medaglia al valore; ed è stato esule a causa della sua omosessualità, facendo tappa prima a Parigi, poi Sud America, Canada e Messico – e per lingua – la formazione dell’autore si basa sullo studio della lingua e le letterature camito-semitiche ed è redatta in italiano, francese e spagnolo – è ancora tutta da scoprire e da riposizionare nei processi culturali che hanno definito la narrativa italiana del Novecento.
Per Grado Zero questo mese ho avuto modo di leggere Budda e il suo glorioso mondo (la cui prima edizione apparve nel 1990 per Rusconi). Ecco come Carlo Coccioli, in una celebre intervista, presentò la figura di Budda:
«Budda è il primo, duemilacinquecento anni fa, in una determinata regione geografica, in una storia determinata, con un’identità precisa – sulla quale non vi è assolutamente nessun dubbio, perché ce lo conferma tutta una letteratura immensa contemporanea a Budda –, Budda è la prima persona che, dopo essersi fatto le domande fondamentali (che io mi sono fatto) – e lui si era fatto evidentemente con un’altra altezza durante sei sette anni in riva a un fiume – lui finalmente un giorno si sveglia, crede di svegliarsi, e rifiuta tutte le domande metafisiche. Decide, comprende, che non si può rispondere a queste domande. Per cui accantona il problema di Dio».
Se è vero, come disse una volta Calvino, che la letteratura vive solo se si pone obiettivi smisurati, questo romanzo-saggio di Coccioli centra perfettamente il punto perché si pone il proposito di tentare una scrittura romanzesca della figura storica di Budda Sakyamuni, muovendosi in quell’intrigo di teorie, paradossi, metafore e figure indefinibili su cui si fonda la dottrina buddista; un’impresa che, per intenzioni, sembra ricordare quella più recente di Saramago col suo Vangelo secondo Gesù Cristo, anche se presenta delle sostanziali differenze.
Per la scrittura di Budda e il suo glorioso mondo Coccioli si propone di muoversi in un contesto storico-geografico-culturale che all’inizio degli anni ’90 era ancora più lontano di quanto ci appare oggi. Infatti, se da un lato questo libro ci fa pensare a un accostamento col celebre romanzo saramaghiano, dall’altro se ne allontana, poiché la scrittura coccioliana si pone l’obiettivo primario di rinsaldare un cortocircuito culturale che, altrimenti, renderebbe impossibile per il lettore occidentale comprendere le intime ragioni del Buddismo, e ancor più il senso dell’esistenza del Risvegliato che, citando la prefazione di Lama Paljin Tulku Rinpoce riconosce che «Il desiderio, l’avversione e la confusione mentale sono, oggi come ieri, i tre veleni che ammorbano l’esistenza degli esseri. Trovare un antidoto a questi veleni è il compito delle filosofie e delle religioni, chiamate a spiegare il senso di una vita che vede il dolore fisico e psichico come destino per gli esseri senzienti».
Coccioli per il suo Budda sceglie, infatti, di non seguire la classica linea romanzesca, né tanto meno si perde nella possibilità di poter favoleggiare su miti e tradizioni risalenti a fonti incerte; piuttosto si sofferma sugli aspetti linguistici della dottrina buddista – se così si può dire –, sul concetto di «essere» e quello di «anima» che differiscono dalle concezioni occidentali e cerca di incarnare nella sua scrittura lo spirito d’un pensiero filosofico in continuo divenire; oppure recupera episodi della propria biografia per porre sotto nuova luce concetti che nella configurazione orientale potrebbero apparirci inspiegabili.
Budda e il suo glorioso mondo è da intendersi, oltre al detto romanzo sul buddismo, come una sorta di manifesto poetico del livornese, perché sintesi linguistica e filosofica dell’atteggiamento culturale di uno scrittore che lavora ampliando la propria identità attraverso lo studio delle lingue, la bibliomania e l’ossessiva osservazione del mondo.
Antonio Esposito
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