Neil Young, colui che tutto può: e se non per poteri divini, quantomeno perché a livello musicale si è sempre disinteressato della moda a favore di una libertà espressiva impareggiabile. Se vi pare poco.
Neil Young, colui che ha sostituito il “Perché” col “Perché no?”, schitarrando su qualsiasi genere musicale degno di nota (con risultati ballerini).
Neil Young, colui che: ma sì dai, pubblichiamo con quarant’anni di ritardo quel disco là, quello che avevo in testa, nei polpastrelli che fremevano nello studio di registrazione, quello che mescolava nel torbido, quello di quando m’infilavo il plettro nell’anima per strappar via sangue e pepite.
Insomma: la leggenda narrava di un ipotetico album di zio Neil rinchiuso in qualche cassetto a doppia mandata, un album registrato nel sofferto periodo d’oro tra Harvest (1972) e Zuma (1975), quando la musica possedeva il Potere.
In effetti a volte le leggende sublimano in verità oggettiva: Homegrown, il nuovo lavoro di Neil Young, è finalmente disponibile in tutta quella potenza Made in ’70. Come dire: alla buon’ora.
Il timore del primo ascolto sta nel: e se Homegrown suona “datato?” E se l’urto del tempo ha frantumato il muro di quel suono che fu?
Il timore sparisce mezzo minuto dopo il primo assaggio: ai tempi della registrazione Neil aveva deciso di non pubblicare Homegrown per via delle atmosfere “troppo personali” dovute alla crisi amorosa, alla dipendenza oppiacea (a cui fa riferimento il titolo) e a un paio di altre sfaccettature, ma ascoltandolo ora con 45 anni di ritardo a dare la scossa è l’insieme di quelle atmosfere create, al di là del sottotesto e delle intenzioni.
Homegrown è un groviglio di graffi blues e lamenti soffocati al pianoforte.
Homegrown rivela ancora una volta la sincerità di un artista che riesce a trasformare in musica la dolcezza nascosta nell’ombra di eventi negativi.
Homegrown non appartiene né al 1975 né al 2020, è una miscellanea di sensazioni senza età.
In fondo è questo insieme di sensazioni più o meno indefinite che ci tiene a galla, in attesa di imparare a nuotare nella vita.
Ancora una volta grazie, Neil.
Luca Pegoraro
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