Nel 2019 TerraRossa edizioni ha riportato in libreria Il pantarèi di Ezio Sinigaglia, romanzo con cui l’autore milanese esordì nel 1985. La riedizione è stata un vero successo di pubblico e di critica e ha permesso la riscoperta di un autore le cui storie, nelle intenzioni e negli obiettivi, tengono saldo il rapporto con la cultura del Novecento italiano – ne è una prova lo stesso Pantarèi – e in maniera ancora più ampia con le potenzialità espressive della nostra tradizione letteraria. Risultato di questo atteggiamento è L’imitazion del vero, recente pubblicazione (sempre targata TerraRossa) in cui, attraverso quello che solo superficialmente appare come un divertissement, Sinigaglia recupera la lingua e gli stilemi della novellistica nostrana.
L’imitazion del vero in due parole: nel principato di Lopezia Mastro Landone, artigiano e inventore dal genio ineguagliabile, si ritrova a dover reprimere in solitudine i propri istinti sessuali, ma all’arrivo di Nerino, giovane e piacente apprendista, riesce con le sue creazioni a dar sfogo alla propria passione.
Fin dalle prime pagine, sia per le sonorità della lingua sia per la gestione dei temi, la storia sembra fare eco alla novella boccaccesca; soprattutto nelle sue declinazioni licenziose. Ma il secolo a cui si deve guardare per meglio inquadrare quest’ultima fatica di Sinigaglia è il Quattrocento. In quel secolo infatti venne a diffondersi la cosiddetta novella spicciolata, cioè un componimento singolo che da un lato si distingue per la facile diffusione poiché alleggerito dalla veloce fruizione e dalla peculiare brevitas, dall’altro caratterizzato da personaggi che riescono attraverso il loro ingegno e il “ buon favellare” – e qui Boccaccio compare, ma nell’insegnamento che diede dell’utilizzo del motto e della facezia – a manipolare la realtà a proprio vantaggio. Il più celebre esempio di novella spicciolata è dato dalla Novella del Grasso legnajuolo dove ad “architettare” una beffa ai danni di Manetto il legnaiuolo è il celebre Filippo Brunelleschi.
Della stessa materia letteraria è fatto Mastro Landone e il suo universo narrativo. Fin dalle prime pagine infatti Sinigaglia ci segnala quanto il genio dell’artigiano riesca a modellare come vuole la materia (lo cito, anche per dare un saggio della lingua):
E benché questo si fosse in effetto il mestier suo, grave ingiuria gli si farebbe chiamandolo col nome di falegname; poiché si era bensì col legno che le sue mani costruivano, ma tali e così fatti prodigi da quelle mani uscivano, che nessuno nel legno da umana scienza costrutti crederli non poteva: seggiole, a modo d’esempio, le quali, al semplice muover d’un gancio che recavan nel dorso celato, si trasformavano in tavoli; tavoli, cui pel banchetto due dozzine di commensali facevan corona e che di poi, gli ospiti alle loro dimore tornatisi, si potevano ripiegare e rimpicciolire tanto da trovare albergo in un cassetto; cassetti che, tratti dalle lor sedi e l’un coll’altro congiunti, diventavan bauli; bauli entro i quali, quantunque non maggior di quel d’una seggiola il loro ingombro si fosse, suppellettili e arredi di tutta una sala collocar si potevano.
Il brano si trova in apertura della novella e, oltre ad assolvere il ruolo incipitario, svela alcune intenzioni dell’autore di tipo stilistico e teorico. Infatti, quest’inizio potrebbe intendersi come dichiarazione di poetica: Sinigaglia ci dice in poche righe che ciò che agli occhi si mostra in un modo può svelarsi per altro tramite l’applicazione dell’ingegno; velata allusione, forse, a quanto accade con la lingua nelle pagine della sua opera. Allo stesso tempo, però, quasi seguendo l’assioma tolstojano del finale iscritto negli inizi, quella materia cangiante (sedie che diventano tavoli; cassetti trasformati in bauli) diventa anche chiave d’interpretazione delle azioni di Mastro Landone che alle apparenze, etiche e sociali, del principato deve interporre artificiosi meccanismi per svelare il “vero” (del titolo) delle sue passioni.
Mariolina Bertini ha definito questo libro «una “sollazzevole istoria” del XXI secolo». E ha centrato il punto: L’imitazion del vero, infatti,è un riuscito ritorno alla novella fuori dal tempo perché scritto con l’intelligenza viva d’una penna che sa che la letteratura è un processo comunicativo sviluppato per artifici il cui fine è l’espressione del vero (intenzione questa, d’altronde, dichiarata dal titolo); perché esaudisce i propositi d’intrattenimento dei celebri novellieri rinascimentali; e perché nel tessuto narrativo prova a esprimere quanto complesso, tutt’oggi, sia l’esercizio delle passioni umane.
Antonio Esposito
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