Nel 1879 il linguista e storico della letteratura Angelo De Gubernatis è stato curatore del Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, stampato a Firenze presso Le Monnier. L’opera, vasta e impegnativa nella sua realizzazione, unì le forze di circa trecento letterati invitati a riferire in poche pagine il proprio profilo letterario. Tra questi compare il discendente di un’antica famiglia di Caserta, nato nel 1844, oggi quasi dimenticato, le cui uniche notizie biografiche sono riportate proprio in questo volume: Federigo Verdinois.
Questa è la nota redatta da Angelo De Gubertis:
Verdinois (Federigo), scrittore napoletano, divide con Rocco De Zerbi il regno della nuova critica letteraria giornalistica napoletana, e dirige la parte letteraria del Corriere del Mattino di Napoli, con molta intelligenza e con molto buon gusto. Scrittore egli stesso, vivace, arguto e pieno di grazia, nacque nel 1844 a Caserta. Essendo suo padre impiegato nell’Amministrazione finanziaria, lo seguì sempre nelle sue peregrinazioni. Il Verdinois venne a Firenze per dare gli esami che occorrevano tre mila lire di rendita; non avendole neppure di capitale, si rassegnò ad entrare commesso di Dogana, ufficio, nel quale rimase in Firenze per cinque anni. Di qua mandò a Napoli una commediola in versi «Marito e Moglie» che fu rappresentata con buon successo al Teatro de’ Fiorentini, e che la Rivista Minima stampò. Passò quindi a Salerno con uno stipendio di lire 77 il mese, presso l’Intendenza di finanza; e con la speranza di raddoppiarlo almeno, fondò e scrisse tutto da sé, compresi gli avvisi in quarta pagina, un giornale L’osservatore, che non fu osservato da nessuno, e dopo due mesi morì. Scrisse allora una novella «Amore sbendato» che fu stampata a Napoli e piacque; allora il Verdinois rinunciò al suo impiego, ed entrò cronista dell’Unità Nazionale del Bonghi, onde, quindici giorni dopo, fu mandato via, per poca attitudine, come fu detto, al giornalismo! Ma richiamato poco dopo per scrivere un romanzo «Le Nebbie Germaniche» da scriversi, pubblicarsi e pagarsi giorno per giorno, quando si scriveva, quando si pubblicava e quando si pagava. Conveniva accrescere le entrate, e si racconta che il Verdinois assumesse allora nel Giornale di Napoli, per quindici lire al mese, l’impiego di scrivere le rassegne drammatiche, per esser, dopo tre mesi, promosso alla dignità di cronista con lire 70 il mese, e finalmente, morto il direttore, per invito del prefetto Mordini, alla direzione del giornale con quattrocento lire al mese. Dopo il 18 marzo, come scrittore moderato ch’egli è in politica, non poté più servire quel giornale, e allora ritornò giornalista vagando, collaborando, col nome di Picche al Fanfulla, al Piccolo giornale di Napoli, e finalmente entrando a far parte della direzione del Corriere del Mattino, ove alterna novelle e bozzetti con briosi articoli critici.
Il profilo tracciato da De Gubernatis si concentra perlopiù sulle difficoltà economiche di Verdinois e sul cursus honorum praticato dallo scrittore per vedere riconosciuto il proprio lavoro. In poche battute iniziali De Gubertis lo dichiara «vivace, arguto e pieno di grazia» e gli conferisce, in divisione con Rocco De Zerbi, la sovranità sul regno della critica letteraria giornalistica. Il ritratto restituito ai posteri di Federigo Verdinois quindi è quello del novelliere, commediografo, romanziere, cronachista e critico letterario ma non si fa alcuna menzione del lavoro di traduzione svolto dallo scrittore casertano.
Ci è impossibile risalire alle scelte operate da De Gubertis né tantomeno è possibile sapere se Verdinois, nel raccontarsi al curatore del Dizionario, abbia sorvolato sul suo lavoro di traduttore, eppure resta inspiegabile quest’omissione poiché il casertano durante la sua attività intellettuale tradusse più di 350 opere da diverse lingue (inglese, russo, francese, tedesco, polacco, norvegese). Offrì al pubblico italiano le prime edizioni nostrane di opere come Il circolo Pickwick di Charles Dickens, del Quo vadis? Di Henryk Sienkiewicz, o dell’orientale Panchatantra. Fu traduttore, oltre ai già citati, di Oscar Wilde, Washington Irving, William Shakespeare, Anton Čechov, Fëdor Dostoevskij, Nikolaj Gogol’, Ivan Gončarov, Maksim Gor’kij, Aleksandr Puškin, Lev Tolstoj, Ivan Turgenev, Knut Hamsun, Victor Hugo, Richard Wagner, Rabindranath Tagore e molti altri.
Ciò che colpì i contemporanei delle traduzioni di Verdinois fu l’aderenza all’originale. A quel tempo infatti al lavoro del traduttore veniva prestata poca attenzione e spesso i risultati erano macchiati da incursioni, censure, tagli e stravolgimenti da parte di chi si trovava a lavorare al testo.
Oggi le opere di Federigo Verdinois non sono più lette. La sua narrativa non ha superato la prova del tempo: le sue novelle realistiche sembrano pallida imitazione di quanto meglio seppe fare la corrente verista, mentre i racconti fantastici risentono del pensiero positivista dell’epoca, in particolare delle pratiche spiritualistiche diffuse in ambiente napoletano nel tardo Ottocento; tanto vale per le traduzioni che, col trasformarsi della lingua e col perfezionarsi degli studi sul lavoro del traduttore, appaiono datate al lettore moderno.
Nonostante ciò resta lo spirito con cui svolse il proprio lavoro: da critico si dedico alla stesura di profili letterari, mettendo al centro dell’esperienza intellettuale la vicenda umana dello scrittore; modello che fu di particolare interesse per penne come quella di Ugo Ojetti. E la sua personalità attirò l’attenzione di Benedetto Croce che scrisse: «Era degli uomini più scrupolosamente onesti che sia dato immaginare; bibliotecario di una biblioteca provinciale, […] si recò a presentare le sue dimissioni perché a quella biblioteca non venivano lettori e a lui sapeva male di ricevere uno stipendio senza giustificazione. […] guardava la politica e gli uomini politici e non riusciva ad avervi altra partecipazione fuor di quella genericamente e privatamente umana. Come di politica, dichiarava di non capire nulla di filosofia, accettando senza affliggersene, ma senza vantarsene, questo limite della sua mente; nondimeno era di continuo sollecito e vigile ai problemi dell’anima e della vita morale».
Antonio Esposito
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