Un senso generale di consunzione è alla base di Low di Gherardo Bortolotti (Tic Edizioni, 2020), tanto a livello tematico quanto a livello strutturale. Low è innanzitutto un’operazione di sfaldamento: l’abolizione della linearità del racconto, la sfiducia nell’ordine numerico sono sintomi di un intero sistema umano in disgregazione.
Ognuna delle tre parti del libro (Low è infatti una trilogia di opere apparse già singolarmente) svela un differente aspetto della consunzione universale: l’uomo mangiato dalla cultura massmediale e costretto in una dialettica irrisolvibile tra mito del successo/progresso e aspirazioni impraticabili o naufragate (Tecniche di basso livello); l’analogia monca come dialogo fallimentare con un fondo ontologico che rimane inspiegabile (Senza paragone); la scoperta dell’alieno (dell’Altro, tout court) come esperienza della propria finitudine (Quando arrivarono gli alieni).
Struttura e spaesamento
La prima cosa che salta all’occhio, leggendo, è certamente la struttura non convenzionale tramite cui si articolano tutte e tre le parti del libro. Ci troviamo infatti di fronte a paragrafi brevi e brevissimi (raramente superiori alla mezza pagina; a volte ridotti a una frase), tutti associati a cifre numeriche. C’è una lieve differenza di gestione delle sequenze tra le varie parti (nella prima e nella seconda ci sono blocchi non numericamente contigui tra loro composti da due o tre paragrafi invece contigui; nella terza ogni paragrafo è a sé), ma l’effetto (de-)narrativo sostanzialmente non cambia: per quanto il numero possa evocare senso dell’ordine e geometria, Low lo sfrutta invece in direzione del disordine totale e dell’assenza di architettura.
Possiamo immaginare almeno tre possibilità: che i numeri indichino la posizione del paragrafo all’interno di una fabula originale e incasinata a posteriori; che indichino invece il turno di composizione, non necessariamente coincidente con la linea della fabula; che non significhino niente. Nel primo caso, cortazariano, un lettore meticoloso potrebbe ricostruire l’ordine della fabula e trovarne la chiave; nel secondo il filologo potrebbe svelare la storia del pensiero dello scrittore. Ma la verità è che Low non appartiene alla letteratura combinatoria, non è un “disordine ordinato”, e la terza situazione, più che la più probabile nelle intenzioni, è quella che di fatto si verifica: il numero sovraccarica la dose di spaesamento del lettore.
L’opera di Bortolotti va letta allora secondo una concezione flessibile della giustapposizione: se a un primo livello può esperirsi il gioco semantico della formazione di significati non a partire dall’intreccio ma dall’accostamento di materiali eterogenei che, solo perché vicini, inducono il lettore a costruirsi da sé un significato, a un livello ulteriore osserviamo che la giustapposizione non è, a sua volta, la distruzione di un ordine originario, ma è, semmai, essa stessa manifestazione della non organicità delle cose.
Insomma, i paragrafi di Low traducono in significati particelle dell’esistenza – spaesata e straniata nel suo complesso – con la consapevolezza dell’impossibilità di una significazione universale, che si dà nella non esaustività, prima ancora che nel disordine, della numerologia.
La trama “al negativo”
A questo punto, una vera trama non è rintracciabile. Possono individuarsi, al più, dei macro-temi, che i singoli paragrafi si sforzano di semantizzare, finendo però per ruotare attorno a un non-detto che non può incarnarsi.
Tecniche di basso livello, la prima e più riuscita delle tre parti, sarebbe anche, in certa misura, un manifesto generazionale, se l’implosione del narrato non ne impedirebbe in ogni modo la realizzazione. Di fatto, però, Tecniche descrive – in micro-finzioni, come detto, – lo status di certa gioventù o tarda gioventù di primo millennio, che vive collettivamente l’alienazione di una realtà rimasticata: tutto pare filtrato dall’ipertrofico mondo mediatico, che si impone anche come struttura pedagogico-antropologica («Addestrati, da vecchie strategie di marketing, a preferire la versione facile delle cose»; «ingenti desideri carnali, appresi dalla filiera della pornografia e dalle campagne pubblicitarie») e costringe gli individui al «ruolo di comparsa». Due spie linguistiche più del resto focalizzano la capienza collettiva di questa non-narrazione, ovvero l’aspetto verbale imperfettivo (a sottolineare un’abitudine, un gesto comune) e il soggetto alla prima persona plurale; ma proprio la generazione di trapasso del millennio non riesce a farsi generazione, si sparpaglia – e con essa la narrazione che dovrebbe rappresentarla – di fronte ai media che destoricizzano ogni evento e alla frizione tra richiesta impellente di occupazione e precarietà universale.
Più delle altre, però, è la sezione Senza paragone a esplorare il dietro le quinte, anzi ad alludervi senza potervi accedere. Tutta questa parte – frammentaria come il resto del libro – dialoga con un substrato che non è dato conoscere. Ogni paragrafo si apre infatti con un connettore di similitudine («analogo a», «diverso da», «come», «simile a», «pari a» ecc.), per giunta in lettera minuscola, che presuppone un x che lo precede e che però rimane incognito. I paragrafi, poi, che a volte risultano anche senza conclusione sintattica (cfr. p. 113), raccontano, come per Tecniche ma ad un maggior grado di astrazione, una condizione di generale insufficienza, di disorientamento: «come il senso di cui non ti accorgi, mentre procedi nell’edificio del giorno, le sue stanze, gli uffici con vista su incroci affollati, i piccoli magazzini in disordine, gli archivi di scorci minori, episodi superflui, momenti in cui il sole ha un lucore perfetto e, tuttavia, insufficiente» (p.86, corsivi miei).
Senza paragone nel senso quindi di condizione esistenziale, e contemporaneamente storica, extra-ordinaria, che ha la sua eccezionalità proprio nella dimensione del non finito, del non organico, di cui si può dare parvenza solo per via della giustapposizione; ma anche Senza (termine di) paragone, da intendere come letteratura derivata che non esplicita da dove deriva, relazionata a qualcosa che rimane inespresso e che è forse la ragione dell’intero spaesamento. Una letteratura al negativo, perciò, che si colloca nell’incavo oscuro della narrativa.
Geografia della post-umanità
Alla luce di queste considerazioni, risulta possibile leggere il lavoro di Bortolotti come forma atipica di mappatura – come mappatura, cioè, che non riesce a farsi – nel senso di una letteratura che tenta la geo-grafia del presente umano in cui si inserisce, ma fallisce nel momento in cui il presente stesso si dà in una forma incoerente. L’organicità promessa dai media, come suggerisce Tecniche di basso livello, è in verità un’illusione commerciale, dietro la quale si cela l’incompiutezza radicale delle esistenze. E in tutte e tre le parti del libro, infatti, si insiste su espressioni costruite con un sostantivo geografico-spaziale e un complemento di specificazione esistenziale, astratto, non localizzabile fisicamente o quantomeno perturbante: «entroterra dei nostri acquisti», «pianure del divano», «regioni di frase generiche», «regioni d’esistenza», «regioni dell’umano».
Un’opera di mappatura estetica che non riesce a farsi, dunque, perché l’intera umanità è post- rispetto a se stessa. Quando arrivarono gli alieni, la sezione più definita da un punto di vista tematico, di gusto fantascientifico, è anche quella che più evidenzia lo stato postumo dell’essere umano. Come in Tecniche, i personaggi più che nomi hanno nickname (bgmole, eve, kinch, hapax) e la vita non è né lineare né comprensibile tramite schemi gnoseologici stabili; si articola invece in complotti tragicomici e surreali, in contatti extraterrestri, nella difficoltà di distinguere il biologico dal tecnologico, l’io dall’avatar: «Non solo intere regioni dell’immaginario si staccavano, negli anni, riducendosi a circuiti di memoria e di scambio dal traffico irrilevante, come continenti prossimi e tuttavia perduti, quasi rinunciati, ma anche le singole istanze, tracce di esistenze uniche, prove fattuali di eventi di interesse spicciolo, di affettività private e deboli, si disintegravano nella stratificazione violenta di ciò che affidavamo alla rete».
Una geografia e una antropologia della post-umanità, insomma, che restituiscono il rigurgito della letteratura, il codice pseudo-binario e la rottamazione tramite cui quella può oggi manifestarsi.
Antonio Francesco Perozzi
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